Contabilità

Nel sovraindebitamento il trust «ponte» non è frode

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di Luca Boggio

In sede di ammissione alla procedura di liquidazione per sovraindebitamento (articoli 14-ter e seguenti della legge 3/2012) non costituisce “atto in frode” dei creditori l’atto istitutivo di un trust autodichiarato – cioè, con creazione del patrimonio in trust in capo al medesimo disponente che, pertanto, ne diviene anche trustee – se i beni inclusi sono messi a disposizione per la liquidazione nell’ambito di tale procedura, sostanzialmente rinunciando al vincolo di destinazione derivante dal trust. Lo ha stabilito il Tribunale di Benevento che, con il decreto del 23 aprile 2019, ha chiarito il significato del termine «frode» utilizzato nell’articolo 14-quinquies della legge 3 e affrontato la questione dei trust “ponte”, ossia i trust finalizzati a evitare dispersioni del patrimonio prima dell’accesso alle procedure concorsuali.

Si tratta di un aspetto importante e privo di specifici precedenti giurisprudenziali significativi. La sentenza di riferimento in merito al rapporto fra trust e procedure concorsuali è la pronuncia 10105 emessa dalla Corte di cassazione nel 2014 e che ha indirizzato la giurisprudenza successiva. In tale sentenza la questione viene affrontata però in via generale, senza approfondire il tema specifico del trust “ponte”, la cui legittimità viene però esclusa senza motivazione.

Il trust «ponte»

Il decreto del Tribunale di Benevento esamina l’istituto dei trust temporanei, ossia dei trust che prevedono clausole di scioglimento all’apertura delle procedure concorsuali il cui obiettivo è evitare la dispersione del patrimonio, in conseguenza delle azioni esecutive dei creditori.

La questione, risolta a favore del debitore, si incentra sul significato del termine “frode” (articolo 14-quinquies della legge 3/2012): il dubbio era infatti che la costituzione del vincolo di trust comportasse una forma di sottrazione dei beni al diritto di soddisfacimento dei creditori mediante esecuzione forzata tanto grave da essere stata anche causa di emissione di un sequestro penale nell’ambito di un procedimento per il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (articolo 11, del Dlgs 74/2000).

Nel caso trattato dal Tribunale di Benevento, la maggior parte dell’indebitamento era peraltro verso l’Erario e il piano della liquidazione concorsuale contemplava la riduzione ed il riscadenzamento del debito tributario mediante l’accesso alla cosiddetta rottamazione-ter.

L’interesse della decisione beneventana – adottata in via «incidentale, sommaria e allo stato degli atti» – sta quindi proprio nella ricostruzione del concetto di “frode” ai fini dell’ammissibilità della domanda del debitore e nel rilievo che la destinazione dei beni inclusi nel trust al soddisfacimento dei debiti riveste in funzione di escludere appunto la “frode”.

I giudici operano un confronto tra gli articoli 14-quinquies della legge 3/2012 e 173 della legge fallimentare (da un lato) e l’articolo 2901 del Codice civile (dall’altro) e distinguono correttamente, discostandosi dai precedenti di altri tribunali, tra atti “in frode” ed atti “in pregiudizio” dei creditori: i primi – diversamente dai secondi – sarebbero contraddistinti da «una condotta positiva, caratterizzata da inganno o altro artificio, retta da un particolare stato soggettivo, che è quello della dolosa preordinazione dell’atto al prevalente, se non unico, scopo della lesione degli interessi dei creditori».

Ciò posto e tenuto conto che finalità della liquidazione non è la «tutela del credito», ma la mera verifica di «meritevolezza» del debitore ai fini dell’accesso alla procedura concorsuale «sua tutela», tale meritevolezza non può essere esclusa dal mero pregiudizio dei creditori, quando la riduzione del soddisfacimento di costoro non sia direttamente «voluta» dal debitore.

Secondo i giudici beneventani, tale riduzione non può dirsi voluta se il debitore nella sua veste di trustee abbia rimesso i beni a disposizione della liquidazione concorsuale in esecuzione del programma del trust, seppur solo al momento dell’accesso alla relativa procedura.

La soluzione è condivisibile e si orienta nella direzione segnata anche dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, che, addirittura, non subordinerà più l’ammissibilità della domanda di accesso alla liquidazione controllata (articoli 268 e 269) alla meritevolezza del debitore, che sarà solo condizione per la sua esdebitazione (articolo 283, comma 7°), evidenziando come la gestione unitaria e concorsuale dei beni del debitore interessi, prima d’altri, ai creditori.

La giurisprudenza

Negli ultimi anni l’istituzione di trust preconcorsuali si è molto diffusa in Italia e, al di là delle questioni in ordine all’ammissibilità del trust cosiddetto interno (ossia del trust con unico elemento di estraneità costituito dalla legge applicabile), ha sollecitato reazioni di contrasto da parte della giurisprudenza attenta alla tutela dell’interesse dei creditori, fino a giungere alla pronuncia 10105/2014 della Corte di Cassazione che ha cercato di catalogare diverse forme di trust distinguendo fra quelle legittime e quelle non legittime, ed è giunta, senza motivare e diversamente dal Tribunale di Benevento, a escludere la legittimità dei trust finalizzati a conservare i beni fino all'apertura della procedura concorsuale.

Il problema sostanziale è che il trust, quale strumento di separazione patrimoniale (o, come si suol anche dire, di “segregazione” patrimoniale), costituisce un mezzo idoneo ad ostacolare procedure espropriative sui beni del debitore, costringendo il creditore – fuor delle ipotesi di applicabilità all’articolo 2909-bis del Codice civile – al preventivo esercizio dell’azione revocatoria ordinaria con gli oneri alla medesima connessi. Tuttavia il trust rappresenta anche un mezzo di “salvaguardia” del patrimonio del debitore, poiché può perseguire finalità che non sono l’immediata soddisfazione delle pretese creditorie ma ugualmente meritevoli.

Gli esempi

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