Professione

Nell’esercizio provvisorio tocca al curatore pagare Iva e ritenute

di Stefano Mazzocchi

In base all’articolo 74-bis, comma 2, del Dpr 633/1972 «per le operazioni effettuate successivamente all’apertura del fallimento (…) gli adempimenti previsti dal presente decreto, anche se è stato disposto l’esercizio provvisorio, devono essere eseguiti dal curatore»: il legislatore, quindi, ha posto un preciso obbligo in capo al curatore anche qualora sia stato disposto l’esercizio provvisorio dell’impresa. Ne deriva che in capo a quest’ultimo ricadono tutti gli adempimenti per quanto attiene il debito Iva per le operazioni attive poste in essere. Sulla base di tali premesse, la Ctp di Milano con la sentenza 7160/1/2017 depositata il 29 dicembre scorso (presidente Roggero, relatore Chiametti) ha affermato che il curatore non può giustificare l’omesso versamento dell’Iva incassata durante l’esercizio provvisorio, sulla base del divieto di ledere la par condicio creditorum.

Per i giudici meneghini, il pagamento dell’Iva da parte del curatore non troverebbe un ostacolo nell’articolo 111-bis della legge fallimentare (Rd 267/1942), in quanto dalla lettura della norma, precisa la Ctp, «emerge come il legislatore abbia inteso, da un lato individuare il soggetto deputato all’esecuzione degli obblighi previsti e, dall’altro, escludere che tali obblighi vengano meno nel caso di esercizio provvisorio». Di conseguenza è corretta la scelta delle Entrate di pretendere dal curatore il pagamento dell’Iva incassata e dichiarata nella dichiarazione concernente il periodo post-fallimento e relativa all’esercizio provvisorio: tale debito, infatti, nasce dalle operazioni attive effettuate nell’ambito dell’esercizio provvisorio, e quindi è sorto successivamente alla dichiarazione di fallimento.

I giudici sottolineano chiaramente che l’Iva a debito esposta dal curatore nella dichiarazione Iva è stata incassata «e a nulla rileva la lesione dell’ordine dei privilegi, poiché, l’ammontare dell’Iva incassata va versata».

Alle stesse conclusioni, sostiene la Ctp, occorre approdare per l’omesso versamento delle ritenute alla fonte sui redditi conseguiti dai dipendenti che hanno prestato la loro attività lavorativa nel corso dell’esercizio provvisorio: in tal caso si rende applicabile l’articolo 8, comma 4, del Dpr 322/1998.

In conclusione, viene affermato il principio secondo cui «per il debito Iva ed erariale da ritenute fiscali, sorti nell’esercizio provvisorio dell’impresa, non è pensabile che gli stessi possano soggiacere alle ordinarie modalità di pagamento ed anzi, per il pagamento di detti debiti, non è altresì pensabile che gli stessi siano soggetti ad autorizzazione alcuna da parte del giudice delegato»: quest’ultima, infatti, sarebbe incompatibile con le considerazioni che precedono.

Sotto il profilo della riscossione, i giudici milanesi hanno pertanto avallato il comportamento dell’ufficio che aveva intimato il pagamento al curatore.

Nel rapporto tra esercizio provvisorio e attività d’impresa, in quanto, si legge nella pronuncia, con «l’esercizio provvisorio è come se, per assurdo, l’impresa fosse tornata in bonis, con tutte le relative conseguenze e incombenze»: queste ultime, pendenti in capo al curatore.

Ctp Milano, sentenza 7160/1/2017

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