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Nelle fusioni transfrontaliere resta la neutralità fiscale

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di Alessandro Germani

Per le fusioni transfrontaliere la neutralità fiscale dell’operazione appare un elemento imprescindibile per la sua complessiva ottimizzazione. Il decreto legislativo, approvato in via definitiva dal Consiglio dei ministri del 28 novembre che recepisce la direttiva sull’antielusione, conferma questo regime.

Le operazioni transfrontaliere sono attualmente disciplinate dall’articolo 178 del Tuir. In particolare, le fusioni sono contenute nella lettera a), qualora intervengano fra i seguenti soggetti:

•le società di capitali e gli enti commerciali residenti nel territorio dello Stato;

•i soggetti residenti in altri stati Ue appartenenti alle categorie societarie della tabella A e assoggettati alle imposte della tabella B (entrambe allegate al Dlgs 544/92)

purché nel concambio l’eventuale conguaglio spettante ai soci non superi il 10% del valore nominale della partecipazione ricevuta.

È utile poi soffermarsi sulla lettera d), perché ricomprende fra le fusioni transfrontaliere anche le operazioni tra soggetti di cui alla lettera a) non residenti nel territorio dello Stato, con riguardo alle stabili organizzazioni (SO) nel territorio dello Stato oggetto delle operazioni stesse. Tale fattispecie è assai frequente nel caso delle multinazionali, che sono spesso organizzate in branch anziché in subsidiaries per ragioni di flessibilità.

Il regime di neutralità fiscale è stabilito dall’articolo 179 del Tuir, che per questo tipo di fusioni richiama la disciplina interna dell’articolo 172 del Tuir.

Il comma 4 prevede le stesse regole di neutralità per i soci che sono stabilite anche in chiave domestica, concetto ribadito anche dall’articolo 2, comma 14 del decreto legislativo di recepimento della direttiva Atad.

L’articolo 14 del decreto abroga poi, dal 1° gennaio 2019, il comma 6 dell’articolo 179 del Tuir. Tale disposizione ha da sempre sancito le condizioni per ottenere la neutralità fiscale delle operazioni di fusione transfrontaliera, in base al principio secondo cui i componenti aziendali si considerano realizzati a valore normale qualora non confluiscano in una SO situata nel territorio dello Stato o ne siano successivamente distolti.

In altre parole, se a seguito di una fusione transfrontaliera il compendio aziendale confluisce in una SO situata nel territorio dello Stato, la neutralità fiscale dell’operazione è salvaguardata.

L’abrogazione di questa norma non deve far pensare a un cambio di rotta su questo tipo di operazioni. Essa, infatti, risponde soltanto a una riorganizzazione sistematica intervenuta a seguito della riscrittura di alcune norme da parte dello decreto legislativo approvato il 28 novembre. Infatti il principio di neutralità è recuperato nell’articolo 2 del decreto, che riformula integralmente l’articolo 166 del Tuir in tema di imposizione in uscita.

A tal riguardo la lettera e) del comma 1 del riformulato articolo 166 prevede, appunto, l’applicazione della tassazione in uscita per quei soggetti fiscalmente residenti nello Stato che sono oggetto di incorporazione da parte di una società fiscalmente non residente.

Di conseguenza il comma 3 dell’articolo 166 definisce la plusvalenza di una siffatta fusione come la differenza fra il valore di mercato e il costo fiscalmente riconosciuto degli attivi e passivi oggetto di fusione, a meno che gli stessi non vadano a confluire in una SO di un soggetto non residente situata nel territorio dello Stato. In quel caso, per l’appunto, la neutralità fiscale dell’operazione di fusione transfrontaliera resta garantita.

Peraltro questi concetti sono stati ribaditi dalla stessa relazione illustrativa al decreto.

L’articolo 180 del Tuir stabilisce poi la tassazione delle riserve in sospensione d’imposta presenti nel bilancio delle imprese che effettuano operazioni straordinarie intracomunitarie, nella misura in cui tali riserve non siano ricostituite nelle scritture contabili della SO che resta in Italia.

Come per le fusioni domestiche, così anche per le transfrontaliere l’articolo 181 del Tuir stabilisce un limite al riporto delle perdite fiscali (nonché delle eccedenze degli interessi indeducibili e dell’Ace) in capo al soggetto non residente, richiamando appunto l’articolo 172, comma 7 e stabilendo che la relativa deducibilità sia proporzionale alla differenza tra gli elementi dell’attivo e del passivo effettivamente connessi alla SO sita nel territorio dello Stato risultante dall’operazione e nei limiti di detta differenza.

I soggetti partecipanti devono essere entrambi residenti nell'Unione europea, dovendo tuttavia appartenere a Stati differenti; uno dei due soggetti deve essere fiscalmente residente nel territorio dello Stato, anche attraverso una stabile organizzazione. Nel caso specifico l'operazione non si qualificava come fusione ai sensi della direttiva 90/434/CEE

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