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Nessuna paura: il nuovo catasto deve battere l’evasione

di Enrico De Mita

Il disegno di legge delega per la «revisione del sistema fiscale», varato il 5 ottobre dal Governo Draghi, si auspica proceda come una nave che, questa volta, deve arrivare in porto.

I contenuti ispirano, più che una revisione, una rivoluzione del sistema fiscale. Correttamente si richiama il rispetto dei principi costituzionali, in particolare di quelli di cui agli articoli 3 e 53 della Costituzione. Principi e criteri generali sarebbero sembrati quasi lunari se fissati da un governo ordinario. Nella straordinarietà risultano fondatamente realizzabili.

La riforma è orientata alla crescita economica attraverso l’aumento dell’efficienza della struttura delle imposte e la riduzione del carico fiscale sui redditi derivanti dall’impiego dei fattori di produzione; alla razionalizzazione e semplificazione del sistema tributario; alla preservazione della progressività del sistema tributario; alla riduzione dell’evasione e dell’elusione fiscale. Revisione, riduzione, graduale superamento, razionalizzazione, sono tutte variabili terminologiche, contenute nel testo licenziato, dell’esigenza costituzionale di rispettare il principio di uguaglianza e ragionevolezza, insieme con il principio di capacità contributiva, al fine di rendere tollerabile il peso fiscale, pervenire alla diminuzione delle aliquote vigenti, eliminare costi irrazionali (l’aggio) senza crearne di nuovi più presentabili, precedere e ordinare accertamento e riscossione attraverso canoni legali chiari.

La lezione di Ezio Vanoni è immanente nel testo presentato, fino a entrarvi con un’accentuazione fiduciosa nella possibilità di codificare la materia tributaria. Personalmente, non mi aspetto tanto.

In questo articolato corredo trova spazio anche la «modernizzazione degli strumenti di mappatura degli immobili e revisione del catasto fabbricati». Le perifrasi utilizzate non sono in linea con la chiarezza espressiva che pure il Governo si prepone come obiettivo da raggiungere. In ogni caso le modifiche normative e operative in ipotesi sono ispirate e, insieme, indirizzate all’attuazione dei principi costituzionali.

Far emergere e accatastare i fondi non ancora individuati a registro è azione ineludibile in un’ottica anche perequativa. Essa può costituire la premessa di una riduzione delle imposte (per chi le ha sempre pagate), anziché di un suo aggravio. Questo aggravio potrà sorgere per i contribuenti che non le hanno mai assolte perché i loro immobili sono sempre sfuggiti al censimento e conosceranno, per la prima volta, il giusto peso fiscale degli immobili loro intestati.

Non vi è chi non veda che quest’operazione è quanto di più lontano da una “patrimoniale” sugli immobili, secondo una riduzione politica lontana dall’approccio tecnico-giuridico della materia.

Altra certezza è che gli esiti di questi lavori non potranno non avere un impatto tributario, perché non si traducono in una indagine meramente statistica e informativa. Le nuove informazioni saranno un riferimento per la determinazione delle imposte, attraverso la rideterminazione degli imponibili e una rimodulazione delle aliquote.

Evitare l’indagine per una paura irrazionale che si traduca in un aumento delle imposte equivarrebbe a non volere perseguire l’evasione fiscale e, con essa, per esempio, l’obiettivo strategico del contenimento delle aliquote sulla base del recupero ottenibile.

Il coinvolgimento dei Comuni nell’attività di rilevazione e accertamento è un altro punto nodale per ora solo rilevato, da sviluppare.

Trovo, invece, un po’ precaria l’introduzione di un “valore patrimoniale” in base a valori normali espressi dal mercato con inserimento persino di meccanismi di adeguamento periodico. Ci sarà, nei prossimi 18 mesi, spazio per chiarire l’oggetto di cui si discute.

Il sistema di rilevazione catastale deve essere modernizzato. È possibile individuare e controllare le consistenze dei terreni e dei fabbricati, oggi in modo impensabile rispetto a quanto poteva accadere 100 anni fa o anche solo 40 anni fa.

Perciò è costituzionalmente necessario facilitare e accelerare, con l’azione sinergica di Comuni e agenzia delle Entrate, l’individuazione e il classamento corretto di fabbricati (unità immobiliari urbane) non censiti o che sono caricati in catasto senza la reale consistenza di fatto, la effettiva destinazione d’uso o la categoria catastale attribuita; di terreni edificabili che in catasto risultano ancora con attribuzione di reddito dominicale e agrario, senz’altra indicazione; di immobili abusivi.

L’integrazione delle informazioni presenti nel catasto dei fabbricati parrebbe ineludibile, dopo oltre 15 anni dall’introduzione della tassazione del cosiddetto “prezzo-valore” nei rogiti notarili a fronte della puntuale dichiarazione del prezzo effettivamente pagato. In realtà, il punto appare da approfondire adeguatamente.

Valore patrimoniale e rendita attualizzata ai valori di mercato non significano necessariamente aumento degli imponibili e delle imposte. Si tratta di un’attività prodromica a ogni valutazione su di un più razionale prelievo fiscale in materia fondiaria.

Ritengo che l’approccio vada approfondito adeguatamente perché il sistema catastale è sempre stato informato a una indicazione di reddito medio ordinario. Se il reddito dei fondi è determinato con il sistema catastale, non stiamo parlando del reddito effettivo dei fondi, ma dell’assunzione di un criterio di media.

Inseguire la realtà effettiva fa prevalere il criterio della razionalità. Assumere criteri presuntivi e di media, invece, fa prevalere la semplificazione.

Da decenni si discute se la tassazione dei redditi vada fatta con criteri di effettività o con criteri di media.

Il reddito dei fondi (terreni e case) è determinato col sistema catastale, che esprime un reddito medio ordinario. Si tratta di un sistema che garantisce il massimo della semplificazione e della certezza del gettito, ma si allontana dalla realtà economica.

La Corte costituzionale (16/1965) ha sempre ritenuto legittimo un tale sistema di reddito medio ordinario, affermando che la capacità contributiva non è il reddito ma «la cosa produttiva».

La questione di legittimità costituzionale viene ripetutamente riproposta ritenendo tale determinazione contraria al principio di ragionevolezza e di capacità contributiva.

Il sistema catastale non adeguato alla realtà rischia di tassare un reddito che non corrisponde all’arricchimento effettivo, così producendo una sorta di «erosione legale», come se la legge dicesse meno di quello che esprime la realtà.

La difesa del sistema catastale passa, perciò, necessariamente dal suo aggiornamento e dalla sua integrazione: il reddito medio non è un reddito astratto, ma è il reddito che un fondo mediamente può dare attesa la sua capacità di produzione in un dato momento.

Sia le variazioni che intervengono nella condizione fisica dei fondi e nella loro capacità produttiva, sia il rapporto fra reddito medio e reddito effettivo, rendono necessario l’aggiornamento e l’adeguamento dei dati catastali alla nuova situazione, a partire dall’emersione di redditi sottratti persino alla tassazione fiscale.

L’individuazione e il classamento corretto di fabbricati non censiti o caricati senza la reale consistenza o destinazione, di terreni edificabili che non sono più agrari e di immobili abusivi prelude a una complessiva riduzione del carico fiscale.

Molto più complessa e tutta da scoprire, invece, la contaminazione tra “valore patrimoniale” degli immobili e sistema catastale, tra i due fuochi antitetici dell’effettività e della semplificazione.

Il testo varato dal Governo fornisce criteri di massima troppo generali, al limite della genericità, per essere inquadrati in chiave analitica.

Tale articolato coglie nel segno, però, nel cristallizzare l’esigenza costituzionale dell’adeguamento del sistema catastale in base alla realtà.