Contabilità

Niente revoca automatica degli amministratori con il trasferimento del pacchetto azionario

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di Daniele Stanzione


Non è configurabile una giusta causa di revoca degli amministratori nell’ipotesi di mero trasferimento del pacchetto azionario in capo ad altra partecipata totalitaria, in assenza di ulteriori elementi utili a dimostrare un’effettiva lesione del pactum fiduciae fra gli amministratori e la società rappresentata. Ad affermarlo è la Cassazione con la sentenza 18182/2019.

In base all’articolo 2383, comma 3, del Codice civile, gli amministratori possono essere revocati dall’assemblea in qualunque tempo, anche se nominati nell’atto costitutivo, salvo il diritto dell’amministratore al risarcimento dei danni, se la revoca avviene senza giusta causa: la norma tende a contemperare, da un lato, l’esigenza di salvaguardia dell’ente societario, libero di interrompere in qualsiasi momento il rapporto con l’amministratore laddove venga meno il legame fiduciario, e, dall’altro, la posizione dell’amministratore a vedersi quanto meno indennizzato dal danno subito qualora la propria revoca non sia effettivamente stata assistita da una giusta causa. Tuttavia, la nozione di giusta causa non è delineata dal legislatore e si è piuttosto “formata” sulla scorta dell’interpretazione giurisprudenziale.

A tal proposito, la sentenza 18182/2019 è ritornata su alcuni principi fondamentali in materia, osservando in particolare che:
•«la giusta causa di revoca consiste nell’esistenza di circostanze sopravvenute, anche non integranti inadempimento, siano o no provocate dall’amministratore, le quali pregiudicano l’affidamento nelle sue attitudini e capacità, ossia il “rapporto fiduciario”» (in tal senso, da ultimo, anche Cassazione 23 marzo 2017, n. 7475);
•l’onere probatorio ex articolo 2697 del Codice civile in ordine alla sussistenza di una giusta causa di revoca grava sulla società, «trattandosi di un fatto costitutivo della facoltà di recedere senza conseguenze risarcitorie» (Cassazione, 26 gennaio 2018, n. 2037).

Alla luce di tali principi, la Suprema corte ha escluso che la mera cessione del pacchetto azionario ad altra partecipata totalitaria possa costituire giusta causa di revoca degli amministratori, non potendosi ritenere che in tal caso il vincolo fiduciario sia in re ipsa venuto meno: essa osserva infatti che «la ricorrenza di esigenze di auto-organizzazione della struttura societaria, costituente un motivo di natura oggettiva non pertinente alla condotta dell’amministratore, è invero reputata estranea alla nozione di giusta causa legittimante il recesso della società» (in tal senso anche Cassazione, 12 settembre 2008, n. 23557).

Dunque, la Suprema corte ha concluso che la cessazione dei componenti del consiglio di amministrazione, determinata dalla decisione della capogruppo di trasferire le azioni della controllante ad altra società del gruppo, non è sorretta da giusta causa, in mancanza di circostanze o fatti idonei ad influire negativamente sulla prosecuzione del rapporto tali da elidere l’affidamento inizialmente riposto sulle attitudini e capacità dell’amministratore, che non può essere integrata dal mero nuovo assetto organizzativo del gruppo, il quale non è, di per sé, collegabile ad una rottura del pactum fiduciae.

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