Diritto

Niente rimborso delle spese di ristrutturazione all’ex coniuge

Per la Cassazione non è configurabile la presunzione di compossesso dell'immobile

di Roberto Rizzo

La Corte di cassazione, con l’ordinanza 23882 del 3 settembre 2021, ha affermato il principio secondo il quale la convivenza coniugale o di fatto tra due persone non consente di presumere, in capo al soggetto non proprietario dell'immobile, un potere di fatto equiparabile al possesso.

Ribaltati, dunque, i precedenti due gradi di giudizio, all’esito dei quali la ricorrente, proprietaria dell’abitazione adibita a casa coniugale, era stata condannata al pagamento, in favore dell'ex marito, di una ingente somma di denaro, a titolo di rimborso per le spese di ristrutturazione eseguite sull’immobile destinato a residenza familiare.

La Suprema Corte ha evidenziato come non fosse condivisibile la conclusione cui erano giunti il Tribunale di Varese e la Corte d’Appello di Milano, per la quale deve riconoscersi al coniuge (o convivente) non proprietario della casa coniugale, la qualità di possessore, indipendentemente dalla valutazione dell’atteggiamento dal medesimo tenuto, in costanza di rapporto, rispetto all’immobile.Tanto in aderenza al più recente orientamento della giurisprudenza di legittimità (Cassazione 714/2013, Cassazione 10377/2017), a mente del quale la convivenza, sia essa coniugale o “more uxorio”, determina in favore del soggetto non proprietario, rispetto alla casa nella quale si realizza il progetto di vita comune, un potere di fatto che, se non è assimilabile a quello derivante da ragioni di mera ospitalità, non consente, per ciò stesso, di presumere che il convivente sia, automaticamente, anche possessore. Ad avviso del collegio, dunque, deve riconoscersi, in favore del coniuge-utilizzatore, l’attribuzione di un diritto personale di godimento conseguente ad un acquisto a titolo derivativo dall’altro coniuge (sulla base dell’unione familiare) esclusivo titolare di diritto reale sull’immobile (Cassazione, Sezioni Unite, 11096/2002).

Consegue, a tale impostazione, la censura della sentenza della Corte distrettuale – per questo cassata con rinvio– che individuava nel resistente un possessore del bene ristrutturato a sue spese, ma di proprietà dell’altro coniuge, per il solo fatto che l’immobile fosse stato destinato dalla coppia a residenza della famiglia. In particolare, ad avviso della Cassazione, perché sia accertata l’esistenza del diritto di cui all’articolo 1150 del Codice civile, occorre che il supposto creditore fornisca la prova concreta del possesso, non essendo sufficiente la mera allegazione della circostanza dedotta. Nel caso specifico, invece, emerge l’inadeguatezza dell’impianto probatorio dell’originario attore, resa ancor più evidente dalla circostanza per la quale gli interventi per i quali impropriamente si chiedeva il rimborso erano tutti riferiti ad epoca antecedente al matrimonio.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©