Controlli e liti

Non è di comodo l’impresa inattiva perché in attesa dell’ok a un prestito

La prova dell’impossibilità di operare rende illegittimo il diniego di rimborso Iva secondo la Ctr Campania<br/>

Non si applica la disciplina delle società di comodo se vi è la prova dell’oggettiva impossibilità di conseguire ricavi. La normativa in materia introduce una presunzione superabile con la prova contraria, spettando al contribuente dimostrare l’esistenza di situazioni oggettive e specifiche, indipendenti dalla sua volontà, che hanno reso impossibile il raggiungimento della soglia di operatività e del reddito minimo presunto. Questo è il principio di diritto formulato dalla Ctr Campania che, con la sentenza 3401/3/2020 (presidente e relatore Pusateri), ha statuito l’illegittimità del diniego di rimborso Iva (articolo 30, comma 4, legge 724/94), stante la dimostrazione da parte del contribuente dell’impossibilità oggettiva di conseguire i ricavi per cause eccezionali.

Il caso riguarda l’impugnazione da parte della ricorrente, una società di persone avente a oggetto la gestione di palestre, di un diniego di rimborso Iva. Mentre i giudici di primo grado hanno rigettato il ricorso, la Ctr campana ha riformato la pronuncia, valorizzando la prova contraria offerta dalla ricorrente e volta a escludere l’applicabilità della presunzione di “non operatività”.

La normativa
L’articolo 30, legge 724/94, ha introdotto nel nostro ordinamento una normativa volta a colpire le società “di comodo” non operative, ossia che non esercitano una effettiva attività commerciale e che non rispondono ad esigenze di tipo imprenditoriale, ma perseguono altri fini. Si considerano tali le società che, alternativamente: non superano il cosiddetto “test di operatività” previsto dal comma 1 dell’articolo 30; sono in perdita sistematica per cinque periodi di imposta consecutivi, oppure se per quattro periodi di imposta sono in perdita e per il quinto non consegue il reddito minimo determinato (comma 3).

Lo status “di comodo” comporta conseguenze molto gravose non solo ai fini delle imposte sui redditi e dell’Irap, ma anche per l’Iva. E infatti il comma 4 dell’articolo 30 prevede che non possa essere chiesto a rimborso, né utilizzato in compensazione, l’eccedenza Iva a credito risultante dalla dichiarazione relativa all’anno in cui si è applicata la presunzione di non operatività. E, ancora, l’ente che risulta essere di comodo per tre esercizi consecutivi, perde definitivamente e ad ogni effetto l’eccedenza di credito Iva.

La disciplina si fonda su di una presunzione legale relativa, che il contribuente può superare dimostrando l’esistenza di situazioni oggettive e specifiche che ne escludono l’applicabilità.

La sentenza
Sul punto, la Ctr ha correttamente valorizzato gli elementi fattuali e circostanziati prodotti per dimostrare l’oggettiva impossibilità a conseguire i ricavi. La società contribuente aveva ottenuto un finanziamento a tasso agevolato che, tuttavia, prevedeva che l’impresa contraente dovesse attendere l’esito dell’istruttoria prima di poter incominciare l’attività. Questa istruttoria si era protratta addirittura per due anni, sicché la società non aveva potuto produrre ricavi per tali ragioni oggettive e straordinarie, indipendenti dalla sua volontà.

La sentenza di appello ha correttamente applicato le disposizioni in tema di presunzioni e di prova contraria ed è conforme alla giurisprudenza di Cassazione (4850/20).

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