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Non è elusiva l’operazione di acquisto di azioni proprie rivalutate

La Ctr Veneto, sentenza n. 30/2021, prende posizione su un caso discusso, escludendo irregolarità del contribuente

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di Lorenzo Pegorin

L’operazione di acquisto di azioni proprie rivalutate non configura abuso del diritto. A stabilirlo è la sentenza 30/2021 della Commissione tributaria regionale del Veneto, la quale statuisce che non vi è alcun vantaggio fiscale indebito imputabile al socio (persona fisica) che ha posto in essere l'operazione di rivalutazione delle azioni (ex art. 5 e 7 L. 448/2001) anche qualora le stesse vengano poi in parte cedute alla medesima società (acquisto azioni proprie).

La sentenza in oggetto trae origine da un avviso di accertamento che aveva disconosciuto i vantaggi fiscali ottenuti dalle operazioni sinteticamente più sopra delineate, a motivo del fatto che, secondo l'ufficio lo schema negoziale concepito dal contribuente era preordinato con l'esclusivo scopo di sottrarsi alla tassazione prevista per la distribuzione dei dividendi.
Secondo l'ufficio infatti, la pretesa abusività della sequenza negoziale delineata dal contribuente era riconducibile, al c.d. “leveraged cash out”..

Il “leveraged cash out
Nel merito della questione si ricorda che con il termine leveraged cash out (”LCO”) solitamente si identifica una particolare tipologia di riorganizzazione societaria, che prevede uno schema tipizzato ed articolato nelle seguenti fasi:

a) i soci persone fisiche di una società operativa (c.d. “Target”) rivalutano le proprie partecipazioni, con il pagamento dell'imposta sostitutiva;

b) le medesime persone fisiche cedono le partecipazioni detenute nella Target in favore di una società neocostituita. In questa fase, l'operazione di acquisto viene effettuata “a debito”, in quanto la Newco non dispone delle risorse finanziarie utili per l'acquisto della Target.

c) il debito contratto dalla Newco per l'acquisto delle partecipazioni viene rimborsato mediante le somme corrispondenti ai dividendi distribuitile dalla stessa Target.

Ora, evidentemente nel caso specifico trattato dalla sentenza non si è nella situazione tipica del “LCO”, così come sopra descritta ma, secondo l'ufficio, la struttura negoziale:

i) rivalutazione, da parte del socio di maggioranza, delle partecipazioni possedute nella società;

ii) acquisto, da parte della società partecipata, di una parte delle azioni proprieè comunque riconducibile ad una situazione tipica di LCO.

Le motivazioni della sentenza
Di diverso avviso, dicevamo, è la Commissione tributaria regionale del Veneto, che confermando le conclusioni a cui erano peraltro già giunti i giudici di primo grado, stabilisce che il vantaggio fiscale ottenuto non è, né indebito, né illecito, in quanto esso non deriva dall'aggiramento o dalla applicazione fittizia di disposizioni normative, ma al contrario da operazioni che il legislatore fiscale consente, ed all'interno delle quali il contribuente ben può scegliere fra le alternative possibili.

Del resto ai sensi del comma 4, dell'art. 10-bis, L. 212/2000, è perfettamente lecita da parte del contribuente, la scelta tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale; all'interno del ventaglio delle soluzioni applicabili, poi, il contribuente può validamente decidere quella meno onerosa sotto il profilo fiscale.

Nel caso di specie, quindi, è stato ritenuto che tanto la rivalutazione delle partecipazioni, quanto il successivo acquisto delle azioni proprie sono state ottenute ricorrendo a strumenti ordinari espressamente contemplati dal sistema ed utilizzati nel pieno rispetto delle motivazioni e delle finalità previste dal legislatore.

Sul punto la sentenza ribadisce che, in ipotesi di condotta abusiva da parte del contribuente deve essere la stessa amministrazione finanziaria in accertamento che identifica e prova la sussistenza del disegno elusivo, cosa che nel caso descritto non è avvenuta.

Nella fattispecie in questione, infatti, le altre alternative percorribili per il contribuente, consistenti nella distribuzione dei dividendi o nel recesso del socio non avrebbero avuto alcun maggior vantaggio economico né per il socio, né per la società, ma solo eventualmente un maggior onere tributario.

Infine si sottolinea come la strada della distribuzione dei dividendi, presa a paragone dall'ufficio per cercare di sostenere l'elusività del comportamento tenuto dal contribuente, non sarebbe stata, comunque, nemmeno economicamente preferibile in quanto avrebbe comportato un esborso più rilevante per la società, poiché i dividendi andavano necessariamente distribuiti a tutti i soci (e non solo al socio di maggioranza) con un conseguente aggravio finanziario per la società che avrebbe dovuto distribuire una più rilevante entità di denaro rispetto alla soluzione prescelta.

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