I temi di NT+Modulo 24

Non è impugnabile in Commissione tributaria la certificazione dei carichi pendenti

La conferma è oggetto della recente ordinanza 13536/2020 della Corte di cassazione

di Luigi Lovecchio

La certificazione dei carichi pendenti, rilasciata dall’agenzia delle Entrate ai sensi dell’articolo 364 del Codice della crisi (Dlgs 14/2019), non è atto impugnabile in Commissione tributaria. Laddove il contribuente vi ravvisi la menzione di atti non conosciuti prima, egli dovrà procede all’impugnazione puntuale degli stessi. La conferma è oggetto della recente ordinanza 13536/2020 della Corte di cassazione.

La riforma recata nel codice della crisi prevede che gli enti impositori debbano fornire, su richiesta del debitore o del tribunale, una certificazione unica dei debiti tributari, risultanti agli atti e rivenienti da contestazioni in corso nonché da quelle definite, per le quali i debiti non sono stati soddisfatti.

Come previsto dall’articolo 364 del Dlgs 14/2019, l’agenzia delle Entrate, con provvedimento direttoriale del 27 giugno 2019, ha dato attuazione alla norma approvando il modello di certificato che dovrà essere rilasciato dagli uffici territoriali.

L’impugnazione dell’estratto di ruolo
La questione affrontata nel caso deciso dall'ordinanza in esame è correlata al tema dell'impugnazione dell'estratto di ruolo, risolto con orientamento consolidato della Suprema corte. Con la oramai “storica” sentenza 19704/2015, le Sezioni unite della Suprema corte hanno affermato che, nel caso in cui dall'estratto di ruolo si venga a conoscenza di pretese mai ricevute prima, la domanda del contribuente non può essere rivolta ad annullare l'estratto di ruolo, ex se certamente non impugnabile, quanto la cartella ivi indicata, perché a suo dire mai effettivamente notificata. Tanto chiarito, la Corte ha altresì richiamato in primo luogo i precedenti in termini in materia di atti impugnabili, a mente dei quali è sempre facoltà del contribuente contestare qualsiasi atto recante una pretesa compiuta, anche se non notificato.

Superata dunque l’obiezione del difetto della notifica di un atto impugnabile, la Cassazione ha esaminato l’altra eccezione, imperniata sulla portata dell'articolo 19, comma 3, del Dlgs 546/1992, in forza del quale «la mancata impugnazione di atti autonomamente impugnabili, adottati precedentemente all’atto notificato, ne consente l’impugnazione unitamente a quest’ultimo». Alla luce di tale disposizione, dunque, il soggetto passivo dovrebbe attendere la notifica dell'atto collocato successivamente nella scansione procedimentale per eccepire la mancata notifica dell'atto precedente.

A tale argomentazione, ha replicato tuttavia la Corte come negare il diritto ad una tutela anticipata al contribuente provocherebbe una lesione al diritto di difesa, costituzionalmente garantito, se solo si pensa all’ipotesi, tutt’altro che remota, che il contribuente possa subire pregiudizi patrimoniali - si pensi ad esempio al pignoramento presso terzi - prima di essere nelle condizioni di contestare la mancata ricezione di un atto del procedimento. Per questi motivi, il giudice di legittimità ha concluso per l’ammissibilità della tutela anticipata nei riguardi di un provvedimento mai ricevuto, di cui si è tuttavia avuto conoscenza aliunde, nel caso di specie, attraverso la lettura dell’estratto di ruolo.

Sotto il profilo della tempistica dell’impugnazione del contenuto dell’estratto di ruolo, la Suprema corte è ferma nel ritenere applicabile il termine perentorio, stabilito in via generale dall'articolo 21 del Dlgs 546/1992, di 60 giorni dal rilascio dell’estratto stesso (Cassazione 13584/2017, 27799/2018 e 13536/2020).

L’orientamento della Cassazione
Le tematiche sopra illustrate sono state integralmente riprese nel pronunciamento sopra citato, nel quale è stato sottoposto il caso dell’impugnazione della certificazione dei debiti tributari, rilasciata dall’agenzia delle Entrate. Al riguardo, il giudice di legittimità ha preso in esame tanto la disposizione di cui all’articolo 364 del Dlgs 14/2019, quanto il successivo provvedimento direttoriale attuativo delle Entrate. Partendo proprio dai principi affermati in materia di estratto di ruolo, la Corte ha rilevato che «il tenore sommario e riepilogativo di tale certificato esclude l'idoneità a contenere un’informazione completa ed esaustiva su qualsivoglia (autonoma e/o nuova) pretesa impositiva (diretta o indiretta), con la conseguenza della non impugnabilità dello stesso in quanto tale per assoluta mancanza di interesse del debitore a richiedere ed ottenere il suo annullamento in sede giurisdizionale».

Precisa più oltre la pronuncia in esame che «acquisendo contezza delle pretese creditorie dell’amministrazione finanziaria attraverso la menzione fattane nel certificato in parola, il contribuente ha facoltà di far valere le proprie ragioni con l'impugnazione degli atti impositivi dinanzi al giudice tributario».

Nonostante la stringatezza di quest’ultima affermazione, dalla decisione in esame sembra quindi corretto dedurre che:

a) la certificazione in oggetto, ex se, non può essere oggetto di una autonoma impugnazione, difettando di tutti i requisiti propri degli atti impositivi;

b) tuttavia, laddove il contribuente, dalla lettura della stessa, venisse a conoscenza dell'esistenza di provvedimenti tributari mai ricevuti, egli sarebbe comunque legittimato a impugnarli davanti al giudice tributario, anche solo per eccepirne la nullità o l'inesistenza della notifica.

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