«Nuove» correzioni senza effetto retroattivo
Le modifiche normative sull'emendabilità della dichiarazione non valgono retroattivamente poiché si tratta di una disposizione di carattere sostanziale. Per tutti i giudizi pendenti in precedenza, quindi, trovano applicazione i principi affermati dalle Sezioni unite secondo i quali il contribuente, decorso il termine per la presentazione della dichiarazione per l'anno successivo, può recuperare le maggiori somme erroneamente versate attraverso l'istanza di rimborso ovvero in sede contenziosa. A precisarlo è la Corte di Cassazione con la sentenza n. 1291 depositata ieri.
Una società impugnava una cartella di pagamento emessa a seguito di controllo automatizzato della dichiarazione presentata. La contribuente eccepiva che l'Ufficio non aveva recepito le dichiarazioni integrative presentate per rimediare a errori ad essa sfavorevoli. Entrambi i giudici di merito respingevano il ricorso e in particolare il collegio di appello evidenziava che l'integrativa poteva essere presentata non oltre il termine per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo di imposta successivo.
La società ricorreva così in Cassazione deducendo tra i diversi motivi un'errata interpretazione della norma. I giudici di legittimità accogliendo sul punto il ricorso, hanno fornito alcune importanti precisazioni.
Innanzitutto la Suprema corte ha ricordato che sull'emendabilità della dichiarazione sono intervenute le Sezioni unite (sentenza n. 13378/2016) secondo le quali in caso di errori od omissioni sfavorevoli al contribuente, la dichiarazione integrativa può essere presentata non oltre i termini per la presentazione della dichiarazione per il periodo di imposta successivo, con possibilità di compensare l'eventuale credito. Oltre tale termine, il contribuente può chiedere il rimborso entro 48 mesi dal versamento ovvero può opporsi in sede contenziosa alla maggior pretesa dell'amministrazione finanziaria fondata sui dati errati.
La Cassazione ha poi rilevato che con l'articolo 5 del Dl 193/2016 è stata modificata la norma di riferimento (articolo 2 comma 8 bis del Dpr 322/98), prevedendo anche in ipotesi di errori sfavorevoli al contribuente la possibilità di rettifica entro la decadenza del potere di accertamento. Il legislatore ha così uniformato i termini per rettificare le dichiarazioni presentate, eliminando cioè le differenze vigenti in precedenza tra integrativa a favore e a sfavore del contribuente.
Secondo i giudici di legittimità, tale modifica normativa non ha effetto retroattivo in quanto è una norma di natura sostanziale e pertanto non applicabile ai giudizi in corso al momento della sua entrata in vigore (da ciò quindi si desume che la nuova norma decorre dal 24 ottobre 2016). Nella specie, poiché si trattava di un giudizio pendente in precedenza alle novità, trovava applicazione il principio affermato dalle Sezioni unite. La contribuente, quindi, poteva far valere gli errori o le omissioni commesse nella redazione della dichiarazione mediante presentazione di istanza di rimborso ovvero in sede contenziosa opponendosi alla pretesa erariale.
La decisione, che dovrebbe essere tra le prime, è interessante poiché esclude l'applicazione retroattiva della nuova norma relativamente ai giudizi in corso. Dovrebbe così desumersi che i nuovi termini per emendare la dichiarazione a favore del contribuente valgono per tutti i giudizi avviati dopo il 24 ottobre 2016.