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Obiettivo riforma fiscale, tracce di un metodo nuovo per un ricambio necessario

di Salvatore Padula

La riforma fiscale è ancora tutta da scrivere. Ma per la prima volta comincia almeno a cogliersi un percorso, una formula che consentirà di definire prima i princìpi e poi i contenuti specifici del fisco del futuro. Non conosciamo in dettaglio i macro-temi sui quali si vorrà e si potrà intervenire, tranne quelli indicati nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr): la riforma dell’Irpef, con «il duplice obiettivo di semplificare e razionalizzare la struttura del prelievo e di ridurre gradualmente il carico fiscale, preservando la progressività e l’equilibrio dei conti pubblici»; un ripetuto impegno sul contrasto dell’evasione fiscale, anche attraverso il potenziamento dell’amministrazione, con l’inserimento di nuove professionalità e l’utilizzo di strumenti innovativi; il riordino della giustizia tributaria, di alcuni aspetti del sistema della riscossione dei tributi e poco altro ancora, tra cui l’auspicio di uno “sfoltimento” della legislazione fiscale.

Non sappiamo, però, quale sarà la reale ampiezza del riordino, né la sua tempistica, le fasi di attuazione o le risorse che saranno messe a disposizione. Eppure, come accennato, ora si può intravedere un metodo. Che, in definitiva, altro non è che quel “metodo Draghi”, già utilizzato dal presidente del Consiglio in svariati ambiti – si pensi alle scelte sulle riaperture o a quelle sui nuovi sostegni economici – per scongiurare lo stallo di fronte alle molte incompatibilità tra le forze di maggioranza: massima disponibilità alla condivisione e al confronto, spazio per la mediazione, ma poi occorre la sintesi. Non si può stare fermi, è necessario procedere rapidamente (e possibilmente compatti).

Nessuna forza politica deve auto-attribuirsi il successo di determinate scelte o iniziative, per non alimentare la tendenza a una sorta di campagna elettorale permanente. E non sono gradite “fughe in avanti” da parte dei leader dei partiti: lo si è visto bene, proprio in ambito fiscale, sulla proposta di Enrico Letta per la revisione dell’imposta di successione, ma lo stesso era accaduto in precedenza sulla battaglia condotta da Matteo Salvini per l’abolizione/spostamento del coprifuoco.

Il “metodo”, inoltre, non trascura il coinvolgimento fattivo del Parlamento: nel caso della riforma fiscale, Draghi ha più volte richiamato l’importanza dei lavori in corso presso le Commissioni Finanze di Senato e Camera, da mesi impegnate nell’indagine conoscitiva sulla riforma dell’Irpef e altri aspetti del sistema tributario.

Tra poche settimane, dopo l’audizione del ministro dell’Economia, Daniele Franco, le Commissioni saranno chiamate al non semplicissimo compito di redigere un documento finale, possibilmente unitario, che il Governo si è impegnato a considerare quando dovrà predisporre il disegno di legge delega che sarà presentato entro fine luglio. Per altro, anche nella fase successiva, dopo l’approvazione della legge delega da parte delle Camere, la Commissione di esperti che sarà nominata dal Governo e che dovrà scrivere concretamente la riforma fiscale, lavorerà – lo ha ricordato recentemente lo stesso Draghi – in stretto contatto con il Parlamento.

Quindi, totale disponibilità all’ascolto: dentro il governo, dentro la maggioranza, con il Parlamento e con il mondo accademico, quello degli operatori e degli esperti (in questo senso, anche «Il Sole 24 Ore» si candida a contribuire al dibattito sia con il convegno in programma il 10 giugno, sia ospitando dai prossimi giorni analisi e interventi per arricchire la riflessione).

Ma quale fisco si vuole costruire? Passando dal metodo al merito della riforma, alcune indicazioni sembrano emergere dalle considerazioni fatte di recente dal premier.

Draghi sa come uno dei principali difetti del nostro sistema fiscale sia di essere il risultato di una serie infinita di interventi scollegati tra loro, con modifiche a getto continuo, nelle quali si «andava avanti a pezzettini», come ha detto esplicitamente. Interventi nei quali mancava un approccio complessivo, un’idea di sistema. Il che, in qualche modo, suggerisce che nella visione di Draghi “questa riforma” debba essere altro da ciò che le riforme fiscali – o presunte tali – sono state nel recente passato. E che, con coraggio, si proverà a guardare oltre la prospettiva delle sole modifiche all’Irpef. Non sembra esserci spazio per interventi di piccolo cabotaggio: e d’altra parte, è chiaro a tutti come ridurre o aumentare il numero delle aliquote oppure cambiare o eliminare qualche detrazione non faccia una “vera” riforma fiscale.

Draghi ne è ovviamente consapevole. Ed è consapevole che occorra un progetto ambizioso, che metta le basi per un sistema fiscale più equo, coerente con gli obiettivi del rilancio del Paese. Un sistema più semplice, che favorisca la crescita, gli investimenti, il rafforzamento delle imprese, che renda il Paese più attrattivo e che possa avviare (dove possibile e per quanto possibile) la necessaria riduzione della pressione fiscale oltre che dell’evasione.

Senza curarsi, almeno in questa fase, di «ciò che ci si può permettere e ciò che non ci si può permettere», come ha avuto modo di dire. Per Draghi, infatti, prima si deve «disegnare un pacchetto coerente, che risponda agli scopi di politica economica» e poi si deve valutare quel che realisticamente si può fare, quel che conviene fare, avendo come unico faro quello di approdare a un sistema equo e che contribuisca alla crescita.

Vedremo quel che accadrà. Per ora sappiamo che le Commissioni parlamentari, sotto la guida dei presidenti Luciano D’Alfonso e Luigi Marattin, stanno provando ad alzare l’asticella per mettere alcuni punti fermi su una riforma che risolva le criticità dell’Irpef, ma che diventi anche l’occasione per intervenire su svariati altri aspetti del sistema: dalla fiscalità immobiliare ai consumi, dall’Irap alla tassazione dei redditi professionali e d’impresa delle persone fisiche (sulle imprese, e non solo sulle multinazionali del web, sono in atto riflessioni internazionali che evidentemente non potranno essere ignorate).

E se le posizioni dei partiti restassero distanti e inconciliabili, come al momento sembrano? Il presidente del Consiglio non ha dubbi: non si tratta di un ostacolo, come ha detto alcuni giorni fa durante una conferenza stampa a Palazzo Chigi, convinto che le diversità di opinioni siano una ricchezza, non un limite. Ma (forse) anche consapevole del fatto che, alla fine, se le forze politiche non riusciranno a trovare il giusto compromesso, sarà il “metodo Draghi” a spingere verso il traguardo (e l’impegno preso nel Pnrr) della riforma fiscale. «Come penso di farcela? – ha risposto a una domanda nell’ultima conferenza stampa –. Beh, insomma, abbastanza spesso ce l’ho fatta e stavolta ce la farà il governo».