Il CommentoDiritto

Ordinanze di rimessione: un manuale per giudici

di Enrico De Mita

A fronte di una generale maturazione della qualità redazionale delle ordinanze di rimessione, talvolta la Corte deve censurarne la manifesta inammissibilità, come avvenuto con la pronuncia depositata lo scorso 3 dicembre (ordinanza 261/20).

La Corte sanziona con l’inammissibilità manifesta l’ordinanza del giudice remittente (Ctp Genova, 7 gennaio 2019, Gazzetta ufficiale 21/19).

Si tratta di un’ordinanza articolata che consente di comprendere il motivo dell’inammissibilità e, d’altra parte, di orientare la generalità dei giudici tributari che si rivolgono alla Corte.

Anche pronunciandosi per l’inammissibilità la Corte trova il modo di ribadire principi rilevanti sul piano istituzionale: le norme sanzionatorie sono poste a presidio dell’inderogabilità del dovere tributario (sentenza 288/19).

Il caso affronta un mancato perfezionamento della cosiddetta voluntary disclosure per tardivo versamento, equiparato all’omesso versamento da parte dell’ufficio, con sanzione sostanzialmente penale per i giudici genovesi. Il giudice remittente dubitava della legittimità costituzionale:

a) degli articoli 5-quater, comma 1, lettera b), e 5-quinquies, comma 10, Dl 167/90 (convertito, con modifiche, nella legge 227/90), introdotti dall’articoli 1 della legge 186/14, nella parte in cui prevedono che il mancato pagamento nel termine comporta il venir meno degli effetti della procedura di collaborazione volontaria, per violazione degli articoli 3, 27, 53, 97 e 117, primo comma della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli articoli 6 e 7 della Cedu;

b) dell’articolo 6, comma 3, Dlgs 472/97, per violazione degli articoli 3, 27 e 117, primo comma della Costituzione quest’ultimo in relazione agli articoli 6 e 7 Cedu.

La Corte individua plurime ragioni di inammissibilità, stilando – in concreto – una sorta di manuale breve, estemporaneo, per il giudice remittente.

L’ordinanza di rimessione deve costitutivamente avere i seguenti elementi:

1) deve fornire una adeguata ricostruzione, oltre che della questione di fatto, del quadro normativo (134/18, 115/15; 367/10, 190/10);

2) deve considerare adeguatamente la disciplina censurata (voluntary disclosure, nella specie), con particolare riguardo alla sua natura e al suo ambito di introduzione, eccezionale o meno, sue peculiarità. È evidente, infatti, che la violazione di termini perentori, in quanto decadenziali, produce conseguenze ineludibili e non certo rende sospetta di incostituzionalità la relativa disciplina. Nel caso in esame, la disciplina discende dalla necessità di un’autodenuncia completa delle violazioni tributarie commesse, con conseguente obbligo di versare, nei termini previsti, imposte e interessi in misura piena, ottenendo, al contempo, una considerevole riduzione delle sanzioni amministrative e la non punibilità penale di alcuni connessi reati fiscale;

3) deve confrontarsi con le motivazioni delle precedenti pronunce della Corte su fattispecie similari (per esempio per la voluntary disclosure, ordinanza di manifesta infondatezza 53/02). Sembrerebbe superfluo ribadirlo. Ma evidentemente non lo è;

4) deve curare la congruenza tra motivazione e dispositivo, per rimuovere ogni ambiguità del petitum, non potendo, in caso contrario, venire in soccorso la Corte (220/14, 220/12, 117/11; ord.184/18, 269/15, 335/11, 21/11). In altre parole, a fronte di una richiesta di pronuncia ablativa, non può evincersi in motivazione una richiesta di un intervento di tipo additivo-manipolativo. Infatti, sarebbe inammissibile – spiega l’ordinanza 261/20 - una pronuncia meramente demolitoria, perché lascerebbe del tutto privo di disciplina il versamento tardivo, impedendo ogni possibilità di recupero delle somme illegittimamente sottratte all’erario (163/14). Sarebbe, altresì, inammissibile un intervento additivo, perché invasivo dello spazio riservato al legislatore in presenza di una pluralità di opzioni dirette a ovviare al vulnus lamentato dal rimettente (126/15).

Con tale pronuncia, di manifesta inammissibilità delle questioni sollevate, la Corte ha colto l’occasione per rafforzare la consapevolezza della funzione del giudice remittente che, perfettamente integrato nell’incidente di costituzionalità, deve partire dalla compulsazione stessa delle pronunce della Corte.

La nuova stagione del diritto tributario costituzionale non può permettersi carenze metodologiche, e anzi beneficia di interventi, come quello in commento, che contribuiscono a scrivere il manuale teorico-pratico per i giudici remittenti.