Per gli avvocati nulli i contratti con compensi sotto soglia
L’equo compenso per le professioni intellettuali riparte dagli avvocati. Il disegno di legge di Bilancio mette nel mirino le convenzioni che “disciplinano” gli onorari per i legali che fanno assistenza e consulenza per grandi imprese, a cominciare da banche e assicurazioni. La nuova norma, formulata come una sorta di ravvedimento postumo dieci anni dopo le “lenzuolate Bersani”, considera vessatorie e perciò nulle, salvo prova contraria, le condizioni poste unilateralmente dal committente, In particolare, vengono colpiti da nullità il diritto del cliente (banca/assicurazione/grande impresa) di cambiare unilateralmente le condizioni del contratto, la possibilità di rifiutare la forma scritta per gli elementi essenziali dell’accordo, e ancora la facoltà di pretendere prestazioni aggiuntive «a titolo gratuito», l’anticipazione delle spese a carico dell’avvocato, la rinuncia alle spese, e infine termini di pagamento oltre i 60 giorni. In aggiunta viene considerato illegittimo il comportamento del cliente che “taglia” le spese di lite riconosciute in sentenza, pagando all’avvocato solo il minor importo previsto nella convenzione in essere tra le parti. Nel caso che cliente e avvocato modifichino le condizioni della convenzione, è considerata vessatoria, se peggiorativa, la clausola di applicazione anche agli incarichi non ancora definiti o fatturati.
Se è vero che il cliente può vincere la presunzione di vessatorietà delle clausole dimostrando che sono state oggetto di trattativa con l’avvocato, in alcune ipotesi la sostituzione delle previsioni illegittime opera di diritto: è il caso delle prestazioni aggiuntive gratuite (quindi mai ammissibili) e anche della riserva di modifica unilaterale della convenzione.
La sanzione della nullità, si legge nella nuova norma, «opera soltanto a vantaggio dell’avvocato», mentre in sede di decisione il giudice, accertata la non equità del compenso e la vessatorietà della clausola, deve rideterminare il dovuto - facendo riferimento ai parametri della legge professionale - e in aggiunta può infliggere una sanzione pecuniaria da 258 euro fino a 2.065, da destinare alla Cassa delle ammende (o in alternativa al Fondo unico della giustizia).
La legge di Bilancio restringe l’ambito dell’equo compenso ai soli avvocati - a differenza del ddl Sacconi che lo apre erga omnes - ma l’operazione normativa sembra aprire prospettive di intervento anche agli altri ambiti, sia soggettivi (le altre professioni) sia oggettivi (la pubblica amministrazione, grande committente sin qui ignorato).
Lo stesso ministro della giustizia, Andrea Orlando, nel corso del tour Prospettiva Italia aveva sostenuto le ragioni dei giovani professionisti «un tempo considerati quasi naturalmente la futura classe dirigente, oggi invece sfruttati nei grandi studi o, se in proprio, spinti a una concorrenza al ribasso. L’equo compenso è necessario per tutelare la qualità delle prestazioni, e rimediare allo squilibrio tra grandi committenti e professionisti “strangolati”».