Controlli e liti

Per la Cassazione dieci «indici» provano che una norma è incerta ed escludono le sanzioni

La Corte di cassazione con l’ordinanza 9531 fa il punto sulle situazioni che dimostrano l’oggettiva incertezza

Se le regole fiscali sono incerte, non si applicano sanzioni. Ma quando si può invocare l’incertezza? Un utile memo è contenuto nell’ordinanza 9531/2021 della Cassazione, pubblicata il 12 aprile, con cui i giudici hanno dato ragione a una società operante nel settore delle scommesse.

Ricordiamo che «non è punibile l’autore della violazione quando essa è determinata da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferiscono» (articolo 6, comma 2, del Dlgs 472/1997). A livello generale c’è anche lo Statuto del contribuente: «Le sanzioni non sono comunque irrogate quando la violazione dipende da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma tributaria» (articolo 10, comma 3).

I «fatti indice» che svelano l’incertezza

Al di là del caso specifico, la pronuncia 9531 è interessante perché ricorda cosa si debba intendere per «incertezza normativa oggettiva tributaria». Innanzitutto, deve trattarsi dell’impossibilità di individuare – in modo sicuro e univoco – la norma giuridica da applicare a una certa situazione. Naturalmente, il presupposto è che il contribuente abbia seguito un «procedimento interpretativo metodicamente corretto». Detto ciò, la Cassazione ricorda una serie di “fatti indice” che il giudice può usare per desumere il fenomeno dell’incertezza normativa:

1) la difficoltà d’individuazione delle disposizioni normative;

2) la difficoltà di confezione della formula dichiarativa della norma giuridica;

3) la difficoltà di determinazione del significato della formula dichiarativa individuata;

4) la mancanza di informazioni amministrative e la loro contraddittorietà;

5) la mancanza di una prassi amministrativa o l’adozione di prassi amministrative contrastanti;

6) la mancanza di precedenti giurisprudenziali;

7) la formazione di orientamenti giurisprudenziali contrastanti, specie se sia stata sollevata questione di legittimità costituzionale;

8) il contrasto tra prassi amministrativa e orientamento giurisprudenziale;

9) il contrasto tra opinioni dottrinali;

10) l’adozione di norme di interpretazione autentica o meramente esplicative di norma implicita preesistente.

L’elenco è esemplificativo e la Corte non dice quanti di tali “fatti indice” debbano essere presenti. Potrebbe bastarne anche uno solo, ma è chiaro che più saranno numerosi, meglio sarà.

Giudizi di legittimità e interpelli

A questo elenco si possono aggiungere due indicazioni contenute nello Statuto del contribuente. L’articolo 10, comma 3, precisa che «in ogni caso non determina obiettiva condizione di incertezza la pendenza di un giudizio in ordine alla legittimità della norma tributaria».

L’articolo 11, comma 4, a proposito della disciplina degli interpelli, afferma che «non ricorrono condizioni di obiettiva incertezza quando l’amministrazione ha compiutamente fornito la soluzione per fattispecie corrispondenti a quella rappresentata dal contribuente mediante atti pubblicati ai sensi dell’articolo 5, comma 2» (cioè circolari, risoluzioni e «ogni altro atto o decreto che dispone sulla organizzazione, sulle funzioni e sui procedimenti»). Dal che si ricavano altre due indicazioni utili: primo, le soluzioni amministrative devono essere «compiute»; secondo, i singoli interpelli – quest’anno ne sono già stati pubblicati più di 200 – non servono, in linea di principio, a dettare regole generali in grado di fugare l’incertezza normativa.

Il caso delle scommesse e l’interpretazione autentica

Nel caso trattato dalla Suprema corte nell’ordinanza 9531 si trattava di individuare il soggetto passivo d’imposta unica sulle scommesse nel caso di una società esercente attività di organizzazione di scommesse in Italia, senza concessione, per il tramite della ricevitoria. Il quesito sottostante è se il soggetto passivo può anche essere privo della concessione. La risposta della Suprema corte è positiva, ma data l’incertezza sul tema viene accolto il ricorso della società esercente nella parte in cui si oppone all’applicazione delle sanzioni.

A chiarire la legittimità della pretesa tributaria verso un soggetto passivo privo della concessione è stata la Corte costituzionale che ha dato un’interpretazione autentica dell’articolo 1, comma 66, legge 220/2010, con la pronuncia 27 del 23 gennaio 2018; un intervento definito dalla Cassazione risolutore, ma arrivato in epoca successiva alla proposizione del ricorso.

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