Per i costi di rappresentanza e pubblicità necessaria la prova degli effettivi benefici
I costi di rappresentanza e di pubblicità possono essere dedotti dal contribuente solo laddove siano debitamente documentati e finalizzati alla produzione di benefici economici, anche potenziali, per la società. A riaffermare questi principi è la sentenza 10111/2017 della Cassazione depositata ieri.
Con il ricorso in Cassazione, articolato in svariati motivi, l’agenzia delle Entrate ha censurato la pronuncia della Ctr. Quest’ultima aveva, in parziale riforma della sentenza impugnata, accolto le doglianze della società contribuente in ordine ai costi portati in deduzione dal reddito d’impresa.
In particolare, la difesa erariale contestava la sentenza impugnata nella parte in cui i giudici ritenevano, senza dar conto delle proprie conclusioni, che i costi dedotti erano documentati ed inerenti all’esercizio dell’attività.
I giudici di legittimità, cassando la sentenza, hanno delineato i criteri, evidenziando anche la linea di demarcazione tra la due fattispecie - spese di rappresentanza e pubblicità - in base ai quali i costi in contestazione potevano essere considerate deducibili.
A riguardo, è stata sottolineata, ai fini della determinazione del reddito di impresa, la netta differenziazione delle spese di rappresentanza, che sono quelle sostenute per promuovere l’immagine aziendale, con quelle di pubblicità. Queste ultime, infatti, sono destinate ad informare i consumatori dell’ esistenza e delle qualità di un prodotto o di un servizio e, differentemente dalle spese di rappresentanza, devono perseguire l’obiettivo di generare tangibili benefici che la Corte individua nell’aumento delle vendite.
Pertanto, secondo la Cassazione, ai fini della deducibilità della spesa è indispensabile che il contribuente dimostri documentalmente non solo il sostenimento del costo, ma comprovi anche l’inerenza sotto l’aspetto del vantaggio in termini di aumento dei ricavi.
Cassazione, sentenza 10111/2017