Professione

Per i reati-presupposto 231 agli enti sanzioni più pesanti

di Riccardo Borsari

Lo scorso 31 gennaio è entrata in vigore la legge 3/2019 “spazzacorrotti”. Rilevanti sono le novità introdotte in differenti settori, che spaziano dalla materia penale, tanto sostanziale quanto processuale, all’ordinamento penitenziario e alla disciplina della trasparenza nella gestione dei partiti.

L’ampio intervento nel diritto penale ha toccato anche la responsabilità da reato degli enti, con importanti modifiche e integrazioni direttamente al testo del Dlgs 231/01 tramite il comma 9 dell’unico articolo che compone la legge 3/19.

La responsabilità del Decreto 231 viene estesa al nuovo reato-presupposto di traffico di influenze illecite previsto dall’articolo 346 bis del Codice penale. La precedente formulazione dell’articolo 25 del Dlgs 231/01 non comprendeva né questo delitto, introdotto nella sua prima versione dalla legge “Severino” del 2012, né la fattispecie “originaria” del millantato credito (articolo 346 del Codice penale), oggi confluita nell’articolo 346 bis del Codice penale. Il nuovo articolo 25 stabilisce invece per l’ente una sanzione pecuniaria sino a 200 quote per l’ipotesi in cui il soggetto apicale o sottoposto, sfruttando o vantando relazioni esistenti o asserite con un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio (oppure con uno dei pubblici agenti stranieri, comunitari e internazionali di cui all’articolo 322 bis del Codice penale), indebitamente faccia dare o anche solo promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità, come prezzo della propria mediazione illecita, ovvero per remunerare il soggetto per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri.

La legge 3/2019 ha poi modificato l’articolo 322 bis del Codice penale, estendendo l’applicabilità delle fattispecie contemplate dalla norma a nuovi soggetti e, in particolare: alle persone che esercitano funzioni o attività corrispondenti a quelle dei pubblici ufficiali e degli incaricati di pubblico servizio nell’ambito di altri Stati esteri od organizzazioni pubbliche internazionali; ai membri delle assemblee parlamentari internazionali o di un’organizzazione internazionale o sovranazionale; ai giudici e funzionari delle corti internazionali. La novella si traduce nel corrispondente allargamento del perimetro soggettivo delle fattispecie-presupposto della responsabilità da reato degli enti di cui agli articoli 317, 318, 319, 319 ter, 319 quater e 322 del Codice penale, in forza del rinvio allo stesso artiolo 322 bis del Codice penale operato dall’articolo 25, comma 4, del Dlgs 231/01.

La legge 3/19 ha ulteriormente allargato, in via indiretta, sempre in ragione del rinvio dell’articolo 25, comma 4, l’ambito della responsabilità da reato degli enti attraverso l’eliminazione del dolo specifico prima richiesto dall’articolo 322 bis, comma 2, n. 2,del Codice penale, sicché oggi non è più necessario che le condotte dei soggetti che esercitano funzioni o attività corrispondenti a quelle dei pubblici ufficiali e degli incaricati di un pubblico servizio nell’ambito di altri Stati esteri od organizzazioni pubbliche internazionali siano dirette a procurare un indebito vantaggio in operazioni economiche internazionali, ovvero finalizzate ad ottenere o mantenere un’attività economica o finanziaria.

Sembra invece da escludere, stando all’indirizzo ormai consolidatosi nella giurisprudenza di legittimità, che la causa di non punibilità delle persone fisiche inserita nell’articolo 323 ter del Codice penale rispetto a condotte collaborative post crimen e alla restituzione di quanto ottenuto dal reato possa essere estesa agli enti. La Cassazione (sent. n. 11518/19), infatti, ha ribadito, con riguardo alla causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’articolo 131 bis del Codice penale, l’autonomia della responsabilità da reato dell’ente rispetto alla responsabilità penale della persona fisica non punibile.

Nel solco dell’inasprimento del sistema sanzionatorio che ha interessato anche le pene accessorie per i reati delle persone fisiche, il Legislatore ha inoltre aumentato la durata delle sanzioni interdittive per la responsabilità dell’ente connessa ai reati-presupposto dell’articolo 25, commi 2 e 3 (corruzione propria, corruzione in atti giudiziari, reati del corruttore ex articolo 321, istigazione alla corruzione propria), prima di durata non inferiore a un anno: attualmente è prevista, invece, una forbice edittale che va dai quattro ai sette anni, se il reato-presupposto è commesso da un soggetto apicale, e dai due ai quattro anni, se il reato-presupposto è commesso da un sottoposto.

Di rilievo è, altresì, il nuovo comma 5 bis dello stesso articolo 25 del Dlgs 231/01, che tende a favorire l’emersione delle condotte illecite incentivando l’adozione dei modelli organizzativi. Si prevede, infatti, che la sanzione interdittiva ritorni ad essere quella ordinaria prevista dall’articolo 13, comma 2, del Dlgs 231/2001 (dai tre mesi ai due anni) – e, dunque, non opera il nuovo regime sanzionatorio dell’articolo 25 – nel caso in cui, prima della sentenza di primo grado, l’ente si sia efficacemente adoperato per evitare le ulteriori conseguenze dell’attività delittuosa, per assicurare le prove dei reati e per l’individuazione dei responsabili, ovvero per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite, e in ogni caso abbia eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato, mediante l’adozione e l’attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi.

Da ultimo, la novella ha modificato i termini di durata massima delle misure cautelari, slegandoli dalla durata edittale della sanzione (articolo 51). Attualmente, la misura cautelare non può quindi superare il termine di un anno, oppure di un anno e quattro mesi dopo la sentenza di condanna.

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