Perdite su crediti, la cancellazione in bilancio fa spazio alla deduzione
Con la chiusura dell’esercizio molte sono le questioni che debbono essere risolte prima del 31 dicembre al fine di avere una loro quadratura nel bilancio. Tra queste una delle poste che occorre esaminare con maggiore attenzione è rappresentata dai crediti commerciali in forza della normativa civilistica e fiscale che governa la loro valutazione. Disciplina che, se dal punto di vista della formazione di bilancio si basa principalmente sui principi di prevalenza della sostanza sulla forma e della prudenza, dal lato tributario risulta più complessa in quanto per ottenere la deducibilità di una perdita o di una svalutazione crediti occorre la sussistenza dei requisiti della certezza e della precisione.
Tuttavia, con riferimento alle perdite da realizzo, dal 2013, la normativa è venuta incontro alle esigenze del contribuente riconoscendo una presunzione di sussistenza dei requisiti richiesti senza la necessità di fornire specifiche dimostrazioni al realizzarsi di determinate condizioni.
In particolare, ci si riferisce all’articolo 101, comma 5, del Tuir che stabilisce, per tutti i soggetti (Ias e Oic adopter), che «gli elementi certi e precisi sussistono inoltre in caso di cancellazione dei crediti dal bilancio operata in applicazione dei principi contabili».
Sul punto, pertanto, appare opportuno esaminare con attenzione cosa stabiliscono i principi contabili nazionali e in particolare l’Oic 15.
Il documento evidenzia come le imprese cancellano il credito dal bilancio quando:
•i diritti contrattuali sui flussi finanziari derivanti dal credito si estinguono (parzialmente o totalmente);
•oppure la titolarità dei diritti contrattuali sui flussi finanziari derivanti dal credito è trasferita e con essa sono trasferiti sostanzialmente tutti i rischi inerenti il credito
I diritti contrattuali possono estinguersi per pagamento, prescrizione, transazione, rinuncia al credito, rettifiche di fatturazione e ogni altro evento che fa venire meno il diritto ad esigere determinati ammontari di disponibilità liquide, o beni/servizi di valore equivalente, da clienti o da altri soggetti. Secondo l’Oic i casi che comportano la cancellazione del credito dal bilancio sono rappresentate dal forfaiting, dal datio in solutum, dal conferimento del credito, dalla vendita del credito, compreso il factoring con cessione pro-soluto con trasferimento sostanziale di tutti i rischi del credito, dalla cartolarizzazione con trasferimento sostanziale di tutti i rischi del credito.
Di conseguenza, in presenza di una di queste ipotesi, i requisiti di certezza e precisione nella determinazione della perdita ai fini della sua deducibilità risultano dimostrati per presunzione di legge senza la necessità di dover fornire alcuna altra prova. Questi atti, pertanto, potrebbero essere utilizzati – entro il 31 dicembre – dai contribuenti che si trovano in portafoglio crediti collegati a soggetti che, pur non trovandosi in situazioni connesse a procedure concorsuali, difficilmente onoreranno il loro debito. Il loro utilizzo, infatti, consentirà non solo di cancellare il debito dal bilancio, ma anche di poter detrarre immediatamente la perdita.
Tali conclusioni sono confermate dalla circolare 14/E del 4 giugno 2014. Tuttavia, con riferimento alla fattispecie relativa alla cessione del credito il documento di prassi evidenzia una dicotomia tra i contratti con clausola «pro-soluto» e quelli, invece, «pro-solvendo».
La presunzione legale, infatti, si applica alle cessioni «pro-soluto» in quanto determinano il trasferimento sostanziale di tutti i rischi di insolvenza in capo al cessionario. Viceversa, secondo le Entrate, tale presunzione non è riferibile alle cessioni «pro-solvendo» poiché, anche nel caso in cui il contribuente opti per la cancellazione del credito come previsto dal principio contabile, per il fisco non si tratta di una espunzione in senso proprio, ma piuttosto di una riclassificazione di una posta patrimoniale.
Al di là della differenziazione non del tutto condivisibile, è importante sottolineare che, sebbene l’Amministrazione fiscale possa sindacare la deducibilità della perdita, ciò potrà essere fatto soltanto se l’ufficio riesce a dimostrare la non economicità dell’operazione tale da essere equiparata ad una liberalità. In altri termini, esistendo una presunzione legale (ossia stabilita dalla legge) a favore del contribuente, opera la cosiddetta inversione dell’onere della prova in capo all’ufficio. I verificatori, quindi, per poter disconoscere la perdita devono dimostrare, attraverso prove specifiche ed analitiche (Cassazione, ordinanza 24425 del 5 ottobre 2018), che l’atto realizzativo posto in essere non è congruo rispetto al valore del credito cosicché la perdita non possiede i requisiti della certezza e precisione attribuiti per presunzione di legge.