Professione

Professioni senza frontiere nella Ue

di Marina Castellaneta

Regole più stringenti per impedire che interventi legislativi statali nel campo delle professioni regolamentate si trasformino in occasioni per aggirare le regole Ue soprattutto sul diritto di stabilimento e sulla libera prestazione di servizi. A danno del mercato interno. Con la direttiva 2018/958 relativa a un test della proporzionalità prima dell’adozione di una nuova regolamentazione delle professioni, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea del 9 luglio (L173), che dovrà essere recepita entro il 30 luglio 2020, il Consiglio e il Parlamento puntano a prevenire interventi in grado di incidere negativamente sulle libertà fondamentali. Pertanto, gli Stati membri, prima di introdurre nuove disposizioni legislative, regolamentari o amministrative che limitano l’accesso alle professioni regolamentate, dovranno valutare la proporzionalità delle misure non solo con riferimento al momento dell’adozione, ma anche considerando gli effetti futuri. La direttiva, che andrà applicata congiuntamente alla 2005/36 sul riconoscimento delle qualifiche professionali (modificata dalla 2013/55), fissa l’onere della prova sugli Stati membri, tenuti a motivare la scelta e a presentare un’analisi dell’idoneità e della proporzionalità del provvedimento. In primo piano, in quest’analisi, le esigenze dei destinatari dei servizi, inclusi consumatori e professionisti. Resta ferma la competenza degli Stati membri di decidere se e come regolamentare una professione, nel rispetto dei principi di non discriminazione e di proporzionalità e salvo nei casi in cui la professione sia stata già oggetto di armonizzazione a livello Ue. Gli obblighi sono estesi anche ai casi in cui la professione sia regolamentata in via indiretta, attraverso un ordine professionale.

Nel segno della valutazione ex ante, fissata dall’articolo 4, gli Stati membri sono tenuti a utilizzare elementi qualitativi e quantitativi e a basare le scelte su motivi di interesse generale come, tra gli altri, ordine pubblico, sanità pubblica, equilibrio finanziario del sistema di sicurezza sociale. In ogni caso, però, in linea con la consolidata giurisprudenza della Corte di giustizia, le “ragioni di ordine puramente economico, quali la promozione dell’economia nazionale” non possono essere utilizzate per limitare le libertà fondamentali fissate dal Trattato Ue.

Centrale nella valutazione sull’applicazione del test di proporzionalità, il confronto con altre misure e, come chiarito nel Preambolo, la possibilità di perseguire l’obiettivo con mezzi meno restrittivi «rispetto all’opzione di riservare le attività ai professionisti». Con un approccio che punta a una maggiore considerazione del diritto Ue e, in particolare del diritto alla libertà professionale riconosciuto nella Carta dei diritti fondamentali.

Spazio preventivo anche agli stakeholder, con il coinvolgimento delle parti interessate, inclusi «coloro che non esercitano la professione interessata». Assicurato, poi, il diritto a un mezzo di ricorso effettivo e un monitoraggio della Commissione europea. Nel segno della trasparenza, infatti, le motivazioni vanno comunicate a Bruxelles e registrate nella banca dati delle professioni regolamentate tenute dagli Stati membri come previsto dalla direttiva 2005/36.

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