Professioni, servono esclusive e specializzazioni
Gli iscritti nel Registro dei praticanti, secondo il rapporto 2023 sull’Albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, sono diminuiti (-8,4%) portandosi a fine 2022 a 12.781 con un calo di 1.173 unità
I giovani pensano sempre più spesso che “abbandonare” questo Paese possa essere una soluzione. Un’affermazione che trova la sua massima certificazione in quello che accade nella mia principale sfera d’interesse, il mondo dei commercialisti. La mia analisi si limiterà a quello che accade sempre più costantemente alla mia amata professione, ma molti di questi ragionamenti potrebbero essere applicati ad altri contesti. Il dibattito è da anni centrale, ma si infiamma soprattutto quando la politica, qualunque tipo di politica, ne ha maggior “bisogno”, ovvero nei periodi elettorali. Poi torna in secondo piano, almeno nell’applicazione pratica, un attimo dopo.
Proviamo innanzitutto a definire chi è «giovane» anagraficamente. Già in questo caso nel mondo dei commercialisti (ma in Italia in generale) ci troviamo davanti al primo elemento che complica il problema. I giovani, nel resto del mondo, sono quella fascia di persone che va dai 16 ai 25 anni; da noi quelli che vanno dai 20 ai 55 anni.
Di solito chi ne parla o chi addirittura propone delle soluzioni, in Italia, non ha mai meno di 50 anni. Risulta difficile credere che uomini o donne di questa età possono aver ben chiaro cosa chiedono e pretendono uomini e donne molto più giovani.
Migliaia di ragazzi e ragazze vanno via dall’Italia e anche dalla nostra professione per diversi motivi. Quello principale è l’assoluta mancanza di prospettive di crescita e indipendenza. I numeri sono impietosi. Gli iscritti nel Registro dei praticanti, secondo il rapporto 2023 sull’Albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, sono diminuiti (-8,4%) portandosi a fine 2022 a 12.781 con un calo di 1.173 unità. Ma il problema riguarda tutto il Paese: nel solo 2022 (dati Aire) si sono trasferiti all’estero oltre 127mila concittadini, +2,2% rispetto al 2021. E purtroppo ad andare via sono soprattutto i più giovani: gli under 30 italiani residenti all’estero sono, incredibilmente, 1,8 milioni.
Essere un commercialista al giorno d’oggi, purtroppo, non è la cosa più intrigante del mondo, di fatto ci scontriamo con una difficoltà di guadagno immediato per i praticanti, e come sappiamo chi cerca indipendenza ha bisogno di guadagnare, difficolta che potrebbe anche essere superata qualora si riuscisse a evidenziare le prospettive di crescita successive: forse mancano grandi maestri in tal senso.
Vi è poi, superata la prima barriera, una normativa che regolamenta il fisco sempre più complessa e incerta. Il mercato risulta affollato da chi ha le nostre stesse competenze (ma noi lo facciamo meglio) senza nessun obbligo “professionale”. Da un lato, dunque, la formazione e la necessità di specializzarsi, un proliferare di elenchi con annessi obblighi formativi che rende difficile poi svolgere realmente l’attività per la quale tanto si è studiato; dall’altro persone che operano senza tesserini, esperienze, vere competenze, con tariffe al ribasso e senza dare garanzie ai clienti. Purtroppo, la politica è poco attenta a valorizzare le nostre caratteristiche e il nostro ruolo sociale.
Oggi abbiamo la necessità che qualcuno (all’interno della categoria e a livello istituzionale) inizi davvero a considerare tutto quello che stiamo vivendo come un reale problema di tutto il tessuto economico nazionale. Abbiamo la necessità che venga gestita la questione giovanile con una con una coscienza più profonda e una prospettiva più lunga e concreta.
Serve una nuova ricetta che abbia pochi ma sani ingredienti; serve il coraggio degli “adulti” a investire tempo e denaro nella formazione dei tirocinanti; il denaro necessario per vivere e il tempo necessario affinché sia chiaro cosa c’è nel futuro professionale di tutti noi.
Occorre una normativa fiscale di vantaggio per le aggregazioni, che servirà a incrementare gli incontri fra professionisti così da permettere a questi di specializzarsi e lavorare congiuntamente sul cliente e sulle opportunità di business. Insieme per ridurre i costi e incrementare i ricavi.
Sono necessarie aree di specializzazione riservate, esclusive, per la categoria dei commercialisti, in modo da avere competenze da difendere e far crescere nell’interesse di tutti, senza svilire la nostra professionalità e rincorrendo a una concorrenza sleale sui compensi. E poi razionalizzazione del fisco negli adempimenti e nelle scadenze, così da riuscire a fare la differenza per il cliente e per lo Stato con tutto quello che poi comporterà a livello emotivo e retributivo.
Di queste soluzioni si è tanto parlato, in alcuni casi qualcosa è stato anche fatto ma bisognerebbe ricordare che soluzioni mediane non fanno altro che rendere ancora più lontana una reale soluzione.
Ma la cosa più importante che serve affinché i giovani ritornino a scommettere sul futuro di questa professione e di questo nazione è la compartecipazione fra generazioni differenti. Dare spazio e responsabilità a chi per spazio e responsabilità negate decide di fare altro ed andare altrove. Avere il coraggio di scommettere su chi ha studiato per avere un futuro migliore e che naturalmente renderà migliore il futuro di tutti. Scommettere tempo e denaro rispetto ad una visione che possa essere poi la soluzione per un rilancio collettivo.
Ci servono porte aperte, ci serve chi ha il coraggio di aprirle queste porte per rendere tutto possibile. Il cambio culturale di cui tutti parlano ma che nei fatti nessuno ancora applica nella giusta maniera.