Professione

Professionisti, credito senza privilegio per lo studio associato

di Giulio Andreani

La proposizione della domanda di ammissione allo stato passivo del fallimento da parte di uno studio professionale associato , al fine di ottenere il riconoscimento del proprio credito verso l’impresa fallita, lascia presumere che il rapporto professionale non abbia avuto carattere personale e dunque che non sussistono i presupposti per considerare privilegiato il credito oggetto della domanda, ai sensi dell’articolo 2751-bis, numero 2, del Codice civile, il quale dispone che hanno privilegio generale sui beni mobili del debitore le retribuzioni dei professionisti dovute per gli ultimi due anni di prestazione. Tuttavia lo studio associato ha la facoltà di provare che la prestazione professionale è stata svolta personalmente da un singolo associato e che questi abbia trasferito il relativo credito allo studio. In questo caso infatti il credito assume natura privilegiata, nonostante venga formalmente richiesto dallo studio associato e non dal singolo professionista che ha reso la prestazione, cui nella sostanza compete. Lo ha affermato la Cassazione con l’ordinanza 19735/2017 depositata l’8 agosto, confermando fondamentalmente l’orientamento precedentemente adottato con le pronunce 443/2016, 6285/2016, 17287/2016 e 16446/2017.

Si tratta quindi di un indirizzo che si va consolidando nel tempo, nonostante qualche “distinguo”. Vediamo di seguito.

Gli accordi che disciplinano i rapporti tra gli associati di uno studio professionale ben possono attribuire all’associazione la legittimazione a stipulare contratti e ad acquisire la titolarità dei rapporti che ne derivano, che vengono poi delegati ai singoli professionisti e da questi personalmente curati.

In presenza di questa circostanza sussiste la legittimazione attiva dello studio associato rispetto ai crediti originati dalle prestazioni rese dai singoli professionisti a favore dei clienti conferenti l’incarico e quindi anche a richiederne l’ammissione allo stato passivo del fallimento del cliente insolvente.

La ricorrenza di entrambe le circostanze indicate ai punti 1 e 2 non è peraltro di per sé sufficiente per giustificare il riconoscimento del privilegio. Infatti, se la richiesta di ammissione allo stato passivo del fallimento proviene da uno studio associato, ciò basta per trarne la presunzione, salvo prova contraria, che il rapporto professionale è intercorso tra il cliente e lo studio associato e non tra il cliente e il singolo professionista, con la conseguenza che in questo caso il privilegio non compete, a causa della mancanza del carattere personale di tale rapporto.

La predetta presunzione può essere tuttavia superata se lo studio associato che chiede il riconoscimento del credito in via privilegiata dimostra che tale credito:

si riferisca a una prestazione resa personalmente da un singolo professionista, in via esclusiva o prevalente rispetto all’apporto di altri membri del medesimo studio associato, anche alla luce della dimensione di quest’ultimo;

sia di pertinenza dello stesso professionista, pur se formalmente richiesto dall’associazione professionale.

Alcune pronunce, tra le quali la 19735/2017, richiedono, ai fini del riconoscimento del credito, anche la prova della cessione di quest’ultimo dal professionista allo studio associato, ma la mancanza di tale cessione non può comportare di per sé la non riconoscibilità del privilegio, perché a tal fine rileva che la prestazione sia stata il frutto del lavoro del singolo professionista e non dell’organizzazione dello studio associato nel suo complesso.

L’ordinanza di Cassazione n. 19735/2017

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