Professione

Professionisti, la tassazione incide sulla scelta della società

di Giorgio Gavelli

Si consolida il confine tributario tra professione esercitata in forma individuale o associata da un lato o in forma di società (non semplice) dall’altro. A seguito della risoluzione n. 35/E/2018 (e dei precedenti pareri esposti in sede di risposta ad interpello 954-55/2014 e 954-93/2014) è ancora più chiaro che tale confine segna il passaggio tra il lavoro autonomo, come tutte le prerogative previste dall’articolo 53 Tuir, e il reddito d’impresa, diversamente disciplinato da altre (e più puntuali) norme del Testo unico.

Da non dimenticare, peraltro, l’aspetto contabile: mentre il professionista è “naturalmente” (ossia salvo opzione) un soggetto in contabilità semplificata, una società lo è solo nel rispetto della forma giuridica prevista (società di persone) e dei limiti quantitativi fissati dalla legge. Per cui, il tema della derivazione rafforzata (all’ordine del giorno dopo i mutamenti impresi al bilancio dal Dlgs 139/2015) si presenta del tutto inconferente fino a quando si resta in forma individuale, associata o di società di persone, mentre acquista rilevanza costituendo una società di capitali, con l’ulteriore discriminazione tra micro-imprese (articolo 2435-ter del Codice civile) e società maggiori.

Una tabella aiuta a confrontare i risvolti di quella che rappresenterà d’ora in poi una “scelta di campo”, soprattutto dopo che sembra non essere più attuale la posizione assunta dalle Entrate con la risoluzione 118/E/2013, ossia la scelta di configurare le società tra avvocati ex Dlgs 96/2001 come fiscalmente produttrici di reddito di lavoro autonomo nonostante civilisticamente inquadrabili tra le società di persone. Resta da comprendere se potranno esistere contemporaneamente società tra avvocati che (pur svolgendo la stessa attività) sono regolate da regimi fiscali del tutto differenti, in relazione alla legge istitutiva a cui fanno riferimento.

I vantaggi ravvisabili nella tradizionale forma individuale o associativa di svolgimento della professione sono ancora molteplici: basti pensare al principio di cassa (che consente di rendere imponibili solo i compensi incassati) alla possibilità (ove manchi l’organizzazione autonoma individuata dalle sentenze della Cassazione) di sfuggire all’Irap, alla facoltà concessa alle associazioni professionali di modificare le quote di partecipazione agli utili (evidentemente in modo da riflettere meglio le dinamiche tra i singoli associati e la clientela) fino alla data di presentazione della dichiarazione dei redditi dell’associazione.

D’altra parte, la forma societaria può contare su una disciplina civilistica e fiscale assai più puntuale, disegnata per consentire l’evoluzione quantitativa e qualitativa della struttura (composta da professionisti e non solo), raramente subisce il prelievo a titolo di ritenuta d’acconto e può basare la remunerazione dei partecipanti su una politica di dividendi o di compensi per l’amministrazione (interpello Dre Lombardia n. 904-1126/2017), per quanto l’attuale imposizione del 26% di ritenuta “secca” sui dividendi (anche qualificati) non rappresenti certo un attrazione per i contribuenti.

La prassi conosce, a dire il vero, alcuni tentativi di inquadrare le “operazioni straordinarie” anche partendo da un soggetto che esercita l’attività come lavoratore autonomo, assimilando l’associazione professionale alla società semplice (Cassazione, sentenza 16500/2014), oppure permanendo pur sempre in un’ottica associativa e non societaria (circolare 8/E/2009 e risoluzione 177/E/2009). Ma il passaggio tra mondo della professione e mondo dell’impresa tout court è ancora privo di riferimenti precisi e andrebbe colta l’occasione per una disciplina puntuale, coerente e, soprattutto, non punitiva.

Se si opta per la forma societaria, occorre tener presente (oltre agli aspetti previdenziali che i vari ordinamenti delle Casse stanno via via faticosamente perfezionando) alcuni elementi peculiari, quali:

• la possibile assoggettabilità a fallimento, recentemente negata dal Tribunale di Forlì (decreto n. 61/2017) ma con concetti non ancora consolidati;

• l’impossibilità di svolgere attività non professionali, almeno secondo il parere del Cndcec (Po 11/2017);

• l’impossibilità di scegliere società “ordinarie non Stp” per svolgere la professione (nota Mise n. 415099/2016);

• il dubbio sulla legittimità delle società unipersonali (in senso favorevole le Linee guide di alcuni consigli nazionali) e delle Srl semplificate (in senso positivo: Cndcec, Po 262/2015 e circolare n. 32/Ir/2013, ma, in senso contrario, Consiglio nazionale Notariato con nota del 24 marzo 2016);

• l’obbligo all’iscrizione al registro imprese, per quanto nella sezione speciale appositamente dedicata, oltre che all’Albo professionale.

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