Promotori finanziari, inibitoria alla Corte di giustizia
È lecito sospendere in via amministrativa per un anno un promotore finanziario – peraltro già indagato per varie ipotesi di reato – solo sulla base dello scandalo derivato dalla sua – presunta - condotta professionale (strepitus fori)?
Finisce alla Corte di Giustizia del Lussemburgo, con un rinvio pregiudiziale deciso dal Tar Lazio – Sezione seconda quater, 137/2016 – la vicenda di un promotore finanziario “venditore fuori sede” fermato per 12 mesi nel novembre di tre anni fa dalla Consob, in coincidenza con l’inchiesta penale che lo aveva travolto.
La questione sollevata dai legali del professionista, rimasto per 12 mesi senza lavoro e senza reddito, verte sulla compatibilità del Testo unico della finanza (dlgs 58/1998, articolo 55) con la direttiva europea di riferimento (2004/39/CE) sotto vari aspetti. A cominciare dall’esistenza, nel corpo normativo italiano, di una misura inibitoria amministrativa che non dipende né dalla perdita dei requisiti di onorabilità – rimessa solo agli effetti della condanna definitiva –né dalla violazione delle regole sull’esercizio dell’attività.
Nonostante la Consob si sia opposta alle argomentazioni del professionista, sostenendo in primo luogo che la vendita fuori porta non rientrerebbe nella direttiva 2004/39 e che inoltre la stessa regolamentazione non europea non si occuperebbe dell’offerta fuori sede (legittimando quindi una disciplina nazionale di controllo), il Tar ha ritenuto sussistente il fumus di incompatibilità con la norma di rango superiore.
In particolare, scrive il Tar nell’ordinanza di remissione, il Tuf (articolo 55) consente la sospensione discrezionale di un “agente collegato” (venditore fuori porta) in relazione a fatti che non implicano la perdita dell’onorabilità e sul semplice fondamento dello strepitus fori derivante dallo svolgimento di un’inchiesta penale (che dura generalmente molto più a lungo dell’anno di inibizione amministrativa).