Controlli e liti

Quell’illusione di ridurre il sommerso con l’e-fattura

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di Giovanni Esposito

L'obbligatorietà della fattura elettronica per tutti i contribuenti dal 1° gennaio 2019, al fine di diminuire la piaga dell'evasione fiscale e contributiva, stimata in Italia a 100 miliardi di euro l’anno, rischia di aumentare i costi per aziende e professionisti onesti, in difetto di un sensibile beneficio per la collettività, salvo immaginare che sia largamente diffusa la prassi, da parte degli operatori economici, di emettere fatture cartacee per poi cestinarle senza registrazione in contabilità. Solo in tale ipotesi, infatti, vi sarebbero sensibili guadagni in termini di emersione di base imponibile e gettito; ma così non è perché la stragrande maggioranza (nessuno nega che in termini residuali vi siano contribuenti “cartiera”) dell’evasione è perpetuata da chi non emette alcun documento e, sovente, non ha neanche la partita iva. In altri termini, l’occultamento dei proventi al fisco viaggia si sulla carta, ma su quella della moneta più che della fattura.

Secondo i dati statistici resi noti dalla Banca d’Italia e l’Uif, con i Quaderni dell’antiriciclaggio dell’Unità di Informazione Finanziaria, nel 2016 da conti e depositi, sono stati effettuati in contanti, versamenti per 195,049 miliardi di euro e prelevamenti per 14,385 miliardi di euro. A cosa sono servite queste provviste di denaro, passate di mano in mano più volte, se non anche a comprare droga, corrompere, pagare in nero e riciclare?
Chiunque rispetti le norme fiscali e penali, al netto di qualche somma irrisoria, non ha alcun bisogno di contante. Pagare con il bonifico o carta di credito è comodo, semplice e non certo più pericoloso di allontanarsi da uno sportello bancario o postale con il gruzzolo della pensione in tasca.

Obbligo per obbligo, invece di imporre l’emissione di documenti tracciati, non sarebbe più utile indurre un ridimensionamento dell’utilizzo della carta moneta? La limitazione del denaro liquido potrebbe costituire la soluzione per scardinare, alla radice, corruzione, evasione e riciclaggio. Senza contare i vantaggi indiretti rappresentati dall’eliminazione dei costi per la gestione di banconote e monetine, quali apparecchiature, assicurazioni, furti, trasporto, personale, perdite, sicurezza, stoccaggio e vigilanza, stimati in 8-10 miliardi di euro l’anno (si veda Il Sole 24 Ore del 13 novembre 2017).

Per scoraggiare la circolazione di denaro, privando della materia prima chi evadere, le strade potrebbero essere molteplici, ma una appare favorevolmente percorribile agendo su due misure. Da una parte l’istituzione di un’imposta progressiva sui prelievi in contanti (sportello o bancomat), eventualmente al netto di una piccola franchigia mensile; non un prelievo per incamerare nuovo gettito, bensì un mero deterrente per invogliare a cambiare abitudini, con modesto sacrificio del singolo e sensibile beneficio per l’interesse generale. Dall’altra il riconoscimento di un credito d’imposta sugli incassi elettronici degli esercenti attività d’impresa e lavoro autonomo, in misura tale da neutralizzarne il costo delle relative transazioni.

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