Quelle indicazioni della Corte di giustizia disattese a livello nazionale
Le sentenze della Corte di giustizia in materia tributaria, spesso e volentieri, non vengono debitamente considerate dai diversi attori (legislatore, interpreti e organi giurisdizionali), che invece, in base alle regole fissate dai trattati e dal diritto derivato unionale, sarebbero obbligati ad applicarle con puntualità nello svolgimento delle loro rispettive funzioni. Questo è il risultato che scaturisce da un’analisi delle principali pronunce che la Corte nel tempo ha emanato in relazione ai diversi settori della fiscalità dalle imposte dirette, all’iva e al diritto doganale. Questo fenomeno purtroppo, anche se in misura ridotta, non riguarda solo il passato remoto, ma anche i tempi più recenti.
Sulla base dell’articolo 267 del Trattato dell’Unione europea, la Corte ha il compito di pronunciarsi sull’interpretazione dei trattati e degli atti derivati (direttive, regolamenti, decisioni e raccomandazione), nonché sulla compatibilità e legittimità degli atti legislativi e delle prassi rispetto al diritto unionale.
Queste funzioni fanno della Corte di giustizia l’unico organismo sovranazionale competente ad interpretare in modo autentico la portata di una regola comunitaria. La funzione essenziale della Corte è di consentire una applicazione del diritto dell’Unione europea uniforme in tutti i Paesi dell’Unione in modo che esso abbia ovunque la stessa efficacia.
Le sentenze della Corte che derivano da un rinvio pregiudiziale di un giudice nazionale hanno portata generale, efficacia dichiarativa (vale a dire retroattiva, ex tunc) e obbligatoria non solo per la giurisdizione nazionale che ha avviato il rinvio pregiudiziale, ma anche per tutte le giurisdizioni nazionali degli Stati membri. Il non rispetto di una sentenza pregiudiziale della Corte di giustizia può comportare l’apertura di una procedura di infrazione e sfociare nel ricorso di inadempimento di cui all’articolo 258 del Trattato con rischio per lo Stato di subire gravi sanzioni.
Quindi è chiaro che tutti gli attori nazionali dovrebbero, in forza anche del principio di prevalenza del diritto Unionale rispetto al diritto interno, non solo rispettare le pronunce della Corte, ma disapplicare la norma interna incompatibile.
Volendo considerare qualche esempio di questa non propria pronta risposta degli attori nazionali. Possiamo distinguere tre situazioni. In primis i casi in cui l’ordinamento interno fa orecchie da mercante delle sentenze della Corte e si adegua torto collo a seguito dell’attivazione di una specifica procedura di infrazione. Si pensi al caso dell’exit tax la cui legislazione interna non si è adeguata a seguito della sentenza C-371/10, ma a seguito di un’infrazione ovvero il caso dei «non residenti Schumacker» (causa C-279/93) a cui lo Stato italiano si è adeguato nel 2014 a seguito di un’infrazione aperta nei suoi confronti nel 2012.
In secondo luogo, i casi in cui lo Stato ovvero l’interprete o l’organo giurisdizionale non ascoltano la voce della Corte. Si pensi al caso dell’assenza dell’iscrizione al Vies che per l’agenzia delle Entrate porta a eliminare la soggettività passiva Iva di un’impresa (causa C-587/10 ovvero causa C-21/16) ovvero al trattamento generalizzato della validità dell’autofattura all’importazione quale metodo di assolvimento dell’imposta (causa C-272/13).
Infine, anche quando si adegua lo fa con difficoltà si pensi al caso dell’Iva sulle autovetture (causa C-228/05) ovvero il caso della falcidia dell’Iva nelle procedure concorsuali (causa C-546/14) in cui fino all’ultimo la Cassazione ha tentato di opporsi ad un giudizio più che annunciato, capitolando solo dopo che il legislatore ha introdotto una nuova norma (legge di Bilancio del 2017).
Speriamo che in futuro l’attenzione alla Corte sia sempre maggiore e più tempestiva.