Reddito di cittadinanza, giro di vite sul lavoro nero dei familiari
Sanzioni aumentate del 20% per il datore di lavoro che impiega in “nero” soggetti che, pur non essendo titolari del Reddito di cittadinanza, siano parte di un nucleo familiare destinatario della misura.
Una stretta che corre su due binari: da una parte arginare il dilagare del lavoro sommerso, oltre 42mila casi individuati in un anno e mezzo; dall’altra contenere il più possibile il rischio frodi sul Reddito di cittadinanza. A indicare il giro di vite sulle imprese è l’Ispettorato del lavoro che ha previsto l’inasprimento delle sanzioni. Una indicazione fatta propria dal Comando generale della Guardia di Finanza, che l’ha inserita in una direttiva inviata ai reparti impegnati nei controlli sul campo.
Allo stato è già previsto che lo svolgimento di un’attività dipendente o di collaborazione coordinata e continuativa, in assenza delle comunicazioni obbligatorie previste dalla legge, comporti la decadenza/revoca del Reddito di cittadinanza. Il riflesso di questa irregolarità è la reclusione – a seconda dei casi – da un minimo di un anno a un massimo di sei anni per il titolare del Reddito, mentre per il datore una sanzione da un minimo di 1.500 euro (in caso di impiego in nero di lavoratori per 30 giorni) a un massimo di 36.000 euro (nel caso di lavoratore impiegato oltre sessanta giorni), con un inasprimento che porta all’aumento della multa del 20%.
Le nuove indicazioni estendono ulteriormente questa sanzione. Scrive l’Ispettorato: «La suddetta aggravante trova applicazione non solo nell’ipotesi in cui il lavoratore in “nero” sia l’effettivo richiedente del Reddito, ma anche qualora lo stesso, pur non essendo il diretto richiedente, appartenga comunque al nucleo familiare che risulta destinatario del beneficio».
La stretta sul rischio frodi sul Reddito di cittadinanza ha portato anche a un aumento di controlli sulla Dichiarazione sostitutiva unica (Dsu). Si tratta di autocertificazioni compilate dai richiedenti del Reddito di cittadinanza, che potrebbero celare la traccia di irregolarità. Per questo la Gdf avrà accesso a una serie di banche dati, tra le quali quella sulle Prestazioni Sociali Agevolate (Bdpsa). Si tratta di un database che deve essere regolarmente e costantemente aggiornato dagli Enti locali. Un aspetto di non poco conto, considerato che per questioni “clientelari” si potrebbero inserire dati sbagliati per creare dei vantaggi ad alcuni soggetti, facendo ottenere il Reddito (ma anche altre misure) a persone che non hanno diritto. Questo comportamento, secondo le direttive delle Fiamme gialle, «costituisce illecito disciplinare e determina, in caso di accertamento di fruizione illegittima di prestazioni non comunicate, responsabilità erariale del funzionario».