Ricavi, sì alla rettifica per l’errore nella competenza del periodo d’imposta
L’Ufficio, qualora ritenga che determinati beni siano stati ceduti nel periodo d’imposta successivo rispetto a quello individuato dal contribuente, può rettificare in aumento le rimanenze finali del periodo d’imposta precedente, senza che sia tenuto a diminuire corrispondentemente i ricavi dichiarati dal contribuente nello stesso esercizio per la vendita di quei beni, non comportando ciò alcuna doppia imposizione, attesa la possibilità per il contribuente di chiedere il rimborso in relazione ai maggiori ricavi dichiarati in violazione dell’inderogabile principio di competenza. È quanto si desume dalla Cassazione 7121/2019 (clicca qui per consultarla).
Una Spa aveva indicato tra i ricavi del 2003 quelli derivanti dalla cessione di taluni beni che, invece, per il Fisco erano stati ceduti nel 2004. Conseguentemente, in sede di accertamento, tali beni erano stati imputati a incremento delle rimanenze finali 2003, ma i ricavi erano rimasti quelli dichiarati, non avendo l’Ufficio apportato alcuna rettifica in diminuzione per scomputare la parte riconducibile a quei beni che erano stati inseriti tra le rimanenze finali.
La Cassazione ha dato ragione al Fisco, ribadendo il consolidato orientamento di legittimità, secondo cui le regole sull’imputazione temporale dei componenti di reddito sono inderogabili e, pertanto, il recupero a tassazione di ricavi nell’esercizio di competenza non può trovare ostacolo nella circostanza che essi siano stati dichiarati in un diverso esercizio: ciò infatti finirebbe per lasciare il contribuente arbitro della scelta del periodo più conveniente in cui dichiarare i propri componenti di reddito con innegabili riflessi sulla determinazione del proprio reddito imponibile; in particolare, anche nell’ipotesi di ricavi contabilizzati nell’esercizio successivo, la circostanza che detti componenti abbiano già concorso alla formazione del reddito di un altro esercizio non impedisce la loro considerazione nel periodo d’imposta in cui si radica la competenza secondo le regole dettate dall’articolo 109 del Tuir, non comportando ciò la conseguenza, parimenti vietata, della doppia imposizione, trattandosi di evento che scaturisce direttamente dalla legge e tenuto conto che essa, in base ai principi generali, è evitabile dal contribuente mediante l’esercizio, con richiesta di rimborso e conseguente impugnazione del silenzio rifiuto su di essa eventualmente formatosi (ex pluris, Cassazione 20095 e 24006 del 2018).
Esiste, invero, un precedente, ancorché rimasto isolato, per cui l’accertamento per violazione della competenza fiscale è nullo ove l’errata interpretazione della legge da parte del contribuente non abbia cagionato alcun danno all’Erario (si veda Cassazione 28016/2009).
Quanto all’onere probatorio, infine, se il Fisco deve provare la data in cui si sono realizzati i fatti di verificazione dei componenti negativi o positivi di reddito, al contribuente spetta invece dimostrare che solo in un diverso anno tali componenti sono diventati certi e determinabili nell’ammontare (Cassazione 7032/2018).
Cassazione, sentenza 7121/2019