Rimanenze, il mancato prospetto fa scattare l’accertamento induttivo
L’ordinanza 11972/2021 della Cassazione: l’ufficio può procedere individuando la percentuale di ricarico applicabile ai prezzi di vendita rispetto a quelli di acquisto
In caso di omessa presentazione del prospetto analitico delle rimanenze iniziali e finali da parte dell’esercente attività di impresa, l’ufficio ha la possibilità di procedere mediante un accertamento di tipo induttivo individuando la percentuale di ricarico applicabile ai prezzi di vendita rispetto a quelli di acquisto. A precisarlo è la Cassazione con l’ordinanza n. 11972/2021.
Con questa sentenza la Corte Suprema ha legittimato l’accertamento analitico-induttivo, ai sensi dell’articolo 39 comma 1 lettera d) del Dpr 600/1973, in presenza di valori delle rimanenze indicati in modo complessivo. L’attività di controllo ha evidenziato come il contribuente abbia indicato il valore delle rimanenze in maniera sintetica, sebbene nel libro inventari debba essere riportata la consistenza dei beni suddivisi in categorie omogenee, per natura e valore, oltre al valore attribuito a ciascun gruppo omogeneo ai sensi del comma 2 dell’articolo 15 del Dpr n. 600/1973. In presenza di un registro non correttamente tenuto, pertanto, viene riconosciuta all’agenzia delle Entrate la facoltà di procedere induttivamente.
I precedenti
Sul tema la sentenza della Suprema corte è risultata conforme a precedenti pronunciamenti che hanno legittimato l’accertamento analitico-induttivo in presenza di valori delle rimanenze che non consentivano di risalire alla loro metodologia di formazione, generando molteplici perplessità in merito alla completezza e all’attendibilità delle scritture contabili (Cassazione, ordinanza n. 14501/2015). Tuttavia, il comportamento omissivo dell’imprenditore che, in quanto tale, non conduce al disconoscimento della correttezza dell’impianto contabile, richiede che la dimostrazione dell’inattendibilità della condotta debba essere supportata da ulteriori elementi e valutata in un contesto prevalentemente prospettico (Cassazione sentenza n. 21869/2016).
Il procedimento presuntivo nel diritto tributario viene rappresentato dalle conseguenze che la legge o il giudice trae da un fatto noto per risalire a un fatto ignorato, che viene ritenuto provato in quanto correlato al primo con consequenzialità logica, “sia pure con qualche margine di opinabilità” (Cassazione sentenza n. 13288/2011).
La presunzione di legittimità
Nel caso in commento, per il collegio di legittimità, la menzionata inattendibilità (da valutare congiuntamente ad altre prove dirette o presuntive) non costituisce un indicatore di evasione ma il presupposto normativo che consente il ricorso al metodo di accertamento analitico-induttivo fondato sulle presunzioni. Il giudice di merito avrebbe dovuto verificare, pertanto, non se la irregolarità nella contabilizzazione delle rimanenze di magazzino costituisse in quanto tale un indice di evasione ma se la stessa fosse idonea ad autorizzare il ricorso alla richiamata metodologia accertativa.
Di conseguenza, se l’ufficio ha individuato alcuni indicatori di inattendibilità dei dati afferenti ad alcune poste di bilancio in grado di dimostrare un’astratta idoneità a rappresentare una capacità contributiva non dichiarata, la Suprema Corte ritiene che l’accertamento sia assistito da una presunzione di legittimità, senza che «null’altro l’Ufficio sia tenuto a provare, se non quanto emerge dal procedimento deduttivo fondato sulle risultanze esposte, mentre grava sul contribuente l’onere di dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate, anche in relazione alla contestata antieconomicità delle stesse» (Cassazione sentenza n. 13468/2015).