Rischi di doppia imposizione nei trasferimenti di ibridi
L’applicabilità della disciplina di contrasto agli strumenti finanziari ibridi in Italia dovrebbe essere piuttosto limitata in considerazione del fatto che la normativa interna è già impostata in modo da evitare fenomeni di deduzione senza imposizione.
Infatti, quando l’Italia è lo Stato del possessore dello strumento finanziario, l’articolo 44, comma 2, lettera a), del Testo unico (richiamato per le imprese dagli articolo 89 e 59 del Testo unico) dispone che gli strumenti finanziari emessi da entità non residenti si considerano similari alle azioni a condizione che la relativa remunerazione sia totalmente indeducibile nella determinazione del reddito nello Stato estero di residenza del soggetto emittente. A tale fine l’indeducibilità deve risultare da una dichiarazione dell’emittente stesso o da altri elementi certi e precisi. Se quindi la condizione della indeducibilità del provento dal reddito dell’entità estera non è verificata il reddito non è tassato in Italia come un dividendo, ma come un interesse.
La “defensive rule” è quindi già esistente. La severità della norma è attenuata – nel caso di proventi percepiti da società di capitali ed enti commerciali residenti – dall’articolo 89, commi 3-bis e 3-ter del Testo unico che consente comunque di applicare l’esclusione del 95% del provento non dedotto dal reddito imponibile della società estera (nel caso di strumenti finanziari che corrispondano sia redditi deducibili sia redditi non deducibili per l’emittente). Per gli strumenti finanziari esteri, però, questa mitigazione si applica solo se i proventi sono corrisposti da soggetti che hanno i requisiti per essere considerati «società figlie Ue».
Diversamente, se l’Italia è lo Stato in cui risiede il soggetto che eroga il reddito, si applica l’articolo 109, comma 9, del Testo unico in base al quale non è deducibile ogni tipo di remunerazione:
dovuta su titoli, strumenti finanziari comunque denominati (di cui all’articolo 44 del Testo unico) per la quota di essa che direttamente o indirettamente comporti la partecipazione ai risultati economici della società emittente o di altre società appartenenti allo stesso gruppo o dell’affare in relazione al quale gli strumenti finanziari sono stati emessi;
relativamente ai contratti di associazione in partecipazione con apporto di capitale e ai contratti di cointeressenza propria senza apporto.
Eventuali fenomeni di D/NI si possono verificare anche nel peculiare caso di «trasferimenti di ibridi» in cui il rendimento dello strumento finanziario sottostante (ad esempio, dividendo esente) è trattato come imputabile simultaneamente ad entrambe le parti dell’accordo.
La relazione illustrativa del Dlgs 142/2018 riporta come esempio quello di un accordo di «pronti contro termine» tra imprese associate che, in base ad un approccio più formale (legato alla titolarità giuridica) del titolo sottostante rispetto a un approccio più sostanziale, può portare a una diversa attribuzione dello strumento finanziario e dei relativi flussi. Potrebbe quindi esservi la rilevazione di un componente negativo di reddito per il cedente a pronti e una differente qualificazione del correlato provento positivo di reddito in capo al cedente a termine.
Il coordinamento con altre norme antielusive specifiche già previste dal nostro ordinamento (soprattutto l’articolo 26-bis, comma 2, del Dpr 600/1973, ma anche l’articolo 2, comma 3, del Dlgs 461/1997) rischia, se operato in termini eccessivamente “letterali” di creare fenomeni di doppia imposizione, salvo nel caso dei trasferimenti sul mercato, in cui i proventi derivanti dall’attività di trading risultano imponibili (è il caso dei soggetti Ias).