Ritorno all’Irpef con credito d’imposta
L’articolo 59 del decreto legge 50/2017 ha modificato l’articolo 55-bis del Tuir introducendo il comma 6-bis che regola la fuoriuscita dal regime Iri .
La disposizione integra una disciplina che era fin da subito apparsa carente per quello che riguarda il trattamento fiscale degli utili ancora non ripartiti tra i soci al momento dell’uscita dal regime Iri.
In linea di massima è vero che il problema si sarebbe posto solo nel 2021 e cioè alla scadenza del primo quinquennio di opzione per l’Iri, ma è altrettanto vero che un’impresa potrebbe cessare la propria attività ben prima della scadenza del quinquennio con conseguente accelerazione degli effetti in termini temporali della cessazione del regime.
Inoltre senza una regola che disciplini la cessazione del regime vi era il dubbio che gli utili assoggettati a Iri e poi prelevati dovessero secondo le regole ordinarie prima scontare l’ordinario regime in tema di Irpef e poi tradursi in costi per l’impresa con il rischio però di non impattare più su alcun reddito tassabile (stante la cessazione dell’attività) con un effetto di doppia tassazione.
La nuova disposizione prevede che, alla cessazione del regime, le somme prelevate dall’imprenditore o dai soci della società di persone concorrono a formare il reddito ordinario del percettore, nei limiti in cui le somme sono state assoggettate a tassazione separata nell’ambito del regime Iri.
Fino a concorrenza del plafond Iri il legislatore ha scelto di garantire comunque la neutralità fiscale nel transito dal regime sostitutivo a quello ordinario, riconoscendo un credito d’imposta nell’ordinaria tassazione Irpef, pari all’Iri versata al momento della formazione delle somme via via prelevate.
La soluzione adottata appare equilibrata per quanto nell’ambito dell’Iri la neutralizzazione fiscale del reddito prelevato viene ordinariamente garantita dal fatto che, come già accennato, gli utili prelevati fino a concorrenza del reddito tassato Iri sono trattati come costi deducibili dal reddito di impresa.
Ora è stabilito che questo vale in costanza di regime Iri ma non più all’atto della cessazione del regime.
La disposizione precisa che il sistema si applica con la cessazione del regime per le somme che mano a mano vengono prelevate a carico degli utili assoggettate a Iri nel senso che non scatta alcuna presunzione in base alla quale tutti gli utili residui Iri si considerano prelevati nell’ultimo anno di applicazione del regime, fatto salvo quanto diremo più avanti in tema di revoca del regime contabile ordinario. Quindi la graduazione dei prelievi determinerà il mantenimento del beneficio di una flat tax al 24 per cento.
È da ritenere che la presunzione di distribuzione si realizzerà comunque anche ogni qual volta si verifica la cessazione del regime di contabilità ordinaria con la retrocessione dell’impresa a un regime contabile inferiore, fermo restando comunque il vincolo quinquennale dell’opzione Iri.
In questi casi, infatti, venendo a mancare il monitoraggio contabile sulle poste che compongono il patrimonio netto, diviene in pratica impossibile mantenere un controllo sui movimenti che attengono le riserve (di utili ma non solo).
Per questo motivo è principio consolidato quello che con l’abbandono del regime di contabilità ordinaria si presume che tutte le riserve, senza possibilità di prova contraria, siano state di fatto distribuite, con tutte le conseguenze del caso.
Le regole mirate a regolare gli effetti dell’Iri all’atto della cessazione del regime rendono efficacemente il concetto che il beneficio della tassa piatta sui redditi d’impresa in luogo dell’ordinario prelievo Irpef sullo stesso reddito, è un beneficio a termine che dura fin a quando i redditi restano acquisiti all’impresa. Possiamo quindi affermare che nell’ambito dell’Iri si assiste ad una tassazione al 24% come mero acconto sull’Irpef ordinaria che prima o poi quegli stessi redditi dovranno scontare.