Sanzioni, più che una riforma una «manutenzione»
La circolare 4/E del 4 marzo 2016 insiste sul principio del favor rei in ambito sanzionatorio amministrativo-tributario alla luce del Dlgs 24 settembre 2015, n. 158, che ha introdotto rilevanti modifiche sia al sistema sanzionatorio penale-tributario (Dlgs 10 marzo 2000, n. 74) sia, appunto, in materia di sanzioni amministrative-tributarie (Dlgs 18 dicembre 1997, n. 471 e Dlgs 18 dicembre 1997, n. 472).
Così come per le novità in tema di diritto sostanziale, anche per il diritto punitivo non si è trattato di una riforma ma di una manutenzione. In ambito sanzionatorio amministrativo non si registrano infatti rivoluzioni (una rivoluzione sarebbe stata l’introduzione del principio del ne bis in idem tra sanzioni penali e amministrative sulla scorta di alcune decisioni dei giudici europei, tra cui le sentenze 4 marzo e 20 maggio 2014 della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo), ma una rimodulazione, generalmente in melius, della misura delle sanzioni in applicazione del principio di proporzionalità. Così ad esempio, la violazione di infedele dichiarazione di cui all’articolo 1, comma 2, Dlgs n. 471/97 prima punita con sanzioni dal 100% al 200%, ora è sanzionata dal 90% al 180% dell’imposta dovuta. Il principio guida della proporzionalità in alcuni casi ha tuttavia portato un inasprimento del regime sanzionatorio, come nell’ipotesi di violazioni derivanti dall’utilizzo di documenti falsi, da operazioni inesistenti o da condotte fraudolente, per le quali è ora prevista una - nuova - specifica aggravante che può dar luogo all’applicazione di una sanzione dal 135% al 270% ai sensi dell’art. 1, comma 3, Dlgs n. 471/97.
Le nuove disposizioni, che si applicano dal 1° gennaio 2016, come in tutti i casi di successione di norme sanzionatorie nel tempo, devono essere applicate nel rispetto del principio del favor rei, che l’ordinamento giuridico riconosce tanto in ambito penale quanto in ambito amministrativo. Si tratta di un “superiore principio di civiltà” (Corte Cost. 19 febbraio 1985, n. 51) da ricondurre agli articoli 3 e 25 della Costituzione.
La declinazione del principio in esame nel contesto delle sanzioni amministrative in materia tributaria è contenuta nell’articolo 3, Dlgs n. 472, citato, secondo cui:
• nessuno può essere assoggettato a sanzioni se non in forza di una legge entrata in vigore prima della commissione della violazione (comma 1);
• nessuno può essere assoggettato a sanzioni per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce violazione punibile (comma 2);
• se la legge in vigore al momento in cui è stata commessa la violazione e le leggi posteriori stabiliscono sanzioni di entità diversa, si applica la legge più favorevole, salvo che il provvedimento di irrogazione sia divenuto definitivo (comma 3).
Per l’operatività di queste regole in occasione di modifiche legislative quali quella in commento non occorrono né disposizioni né circolari ad hoc.
La circolare 4/E dell’agenzia delle Entrate argomenta quindi in relazione a un processo che dovrebbe essere già in atto fornendo alcuni chiarimenti di ordine generale sul principio del favor rei e alcune indicazioni sulla sua applicazione pratica con riferimento agli atti impositivi emessi prima e dopo il 1° gennaio 2016.
L’agenzia delle Entrate, anzitutto, ribadisce alcuni principi - sacrosanti - già espressi nella circolare 10 luglio 1998, n. 180: il favor rei si applica tanto nell’ipotesi in cui la legge posteriore si limiti ad abolire la sola sanzione, permanendo l’obbligatorietà del comportamento prima sanzionabile, sia nel caso in cui venga eliminato un obbligo strumentale e, quindi, indirettamente la relativa previsione sanzionatoria. Per questa via dovrebbe ritenersi implicitamente abrogata la sanzione, che è rimasta probabilmente per una svista, della omessa indicazione dei costi black list in dichiarazione di cui all’articolo 8, comma 3-bis, del Dlgs n. 471/97 e, come già abbiamo sostenuto sul sole 24 ore del 20 gennaio 2016, quella di infedele dichiarazione, sulla quale pendono numerosi processi. Ciò alla luce della abrogazione del regime di indeducibilità dei costi black list disposta dalla legge finanziaria (di applicazione retroattiva si può discutere anche con riguardo alla stessa regola di indeducibilità, che potrebbe appunto ritenersi non operante anche in relazione ai procedimenti in corso). Stesso discorso dovrebbe valere per le sanzioni connesse all’abrogato obbligo di inviare le dichiarazioni d’intento per operazioni non imponibili Iva nei confronti di esportatori abituali (essendo ora questi ultimi ad effettuare l’invio all’Agenzia).
Inoltre, allo scopo di individuare quale sia la norma effettivamente più favorevole al reo, la circolare invita gli uffici ad applicare i principi generali validi in ambito penale tenendo conto delle specificità del diritto tributario. Gli uffici devono in particolare raffrontare le norme sanzionatorie, prima e dopo le eventuali modifiche normative, secondo un giudizio di fatto, confrontando i risultati che deriverebbero dall’applicazione al caso concreto della legge del tempo e delle leggi posteriori. A questi fini, occorre tenere conto delle circostanze aggravanti, attenuanti o esimenti eventualmente previste dalla legge, accertando gli effetti della loro applicazione in relazione alle specifiche caratteristiche della condotta.
Ad esempio, nel caso di dichiarazione infedele in presenza di fatture false, la normativa applicabile dal 1° gennaio 2016, se da un lato prevede una riduzione della sanzione base dal 90% al 180% (rispetto alla precedente sanzione dal 100% al 200%), dall’altro lato introduce l’aggravante dell’aumento della metà della predetta sanzione. Ebbene, in questo caso, seguendo i principi espressi dalla stessa amministrazione finanziaria, una lettura rispettosa del principio di legalità e della corretta applicazione del favor rei dovrebbe essere quella di considerare la (nuova) aggravante applicabile solo pro futuro (i.e. per le violazioni commesse dal 1° gennaio 2016) e quindi applicare il confronto per individuare la sanzione più favorevole con riferimento alla – sola - sanzione base (cioè l’unica esistente sia prima che dopo le modifiche).
La circolare precisa poi che gli agli atti impositivi emessi a decorrere dal 1° gennaio 2016, ma riferiti a violazioni commesse sino al 31 dicembre 2015, dovranno esporre «… le circostanze di fatto e di diritto che giustificano l’applicazione del principio del favor rei che ha determinato l’irrogazione della sanzione più favorevole».
Si tratta di un chiarimento che riteniamo possa essere interpretato nel senso che l’agenzia delle Entrate, fermo l’obbligo imperativo di applicare il favor rei senza disporre di alcuna discrezionalità al riguardo, deve esplicitare in maniera chiara il percorso logico-argomentativo alla base del giudizio in concreto circa l’applicazione o meno del trattamento sanzionatorio più mite, in considerazione degli elementi della condotta o di altre circostanze del caso di specie, pena una eventuale carenza motivazionale dell’atto amministrativo.
Un’importante considerazione in merito all’applicabilità della sanzione più favorevole è quella per cui l’individuazione della stessa deve essere fatta in concreto e non in astratto, paragonando, caso per caso, gli effettivi risultati che si determinano dall’utilizzo dell’una o dell’altra norma.
L’applicazione del principio del favor rei deve considerare l’operatività di attenuanti, esimenti ed anche l’avvenuta irrogazione di sanzioni non al minimo edittale. Il confronto quindi può anche essere non semplice, come avviene nei casi di mera “sostituzione” di un minimo edittale irrogato con un altro.
Altro aspetto su cui riflettere è l’applicazione del favor rei nell’ambito di quelle disposizioni sanzionatorie che si fondano sulla sussistenza o meno di circostanze verificatisi prima dell’entrata in vigore della disposizione sanzionatoria più afflittiva. È il caso della nuova recidiva in materia di violazioni tributarie in base alla quale, dal 1° gennaio 2016, risulta obbligatorio (prima era un facoltà dell’ufficio) l’aumento della metà della sanzione edittale nel caso in cui nel triennio precedente il contribuente abbia commesso violazioni della stessa indole.
Una corretta applicazione del principio in questione dovrebbe far ritenere che il triennio di riferimento sia soltanto quello a partire dal periodo di imposta 2016 e non anche il precedente, anche se al riguardo, l’agenzia delle Entrate, in occasione di Telefisco 2016, sembra essersi espressa in senso contrario. Sulla recidiva peraltro vi sono problematiche che insistono sulla sua applicazione in termini generali, posto che riteniamo che essa dovrebbe essere esclusa nel contesto della medesima attività ispettiva e accertativa (non può ritenersi recidivo il soggetto che riceve una contestazione su più anni per aver indebitamente dedotto, ad esempio, quote di ammortamento). In altre parole perché vi sia recidiva occorre una nuova constatazione di violazione della stessa indole e non solamente la presenza di più violazioni all’interno di una unica constatazione.
È pacifico, come correttamente chiarito dall’Agenzia, che il principio del favor rei, in quanto principio generale, debba applicarsi con riferimento a tutte le eventuali violazioni commesse anche prima del 1° gennaio 2016 per le quali non sia ancora stato emesso il relativo provvedimento amministrativo ovvero per le quali il provvedimento, già notificato, non sia divenuto definitivo essendo ancora pendenti i termini per la proposizione del ricorso ovvero il giudizio avanti all’autorità giudiziaria. È discutibile tuttavia il fatto che l’Agenzia subordini tale ovvia regola all’espletamento di un onere a carico del contribuente, specificando che la richiesta di “ricalcolo” delle sanzioni debba essere effettuata tramite la presentazione di una “semplice” istanza a cura dello stesso contribuente e che l’atto originario notificato al contribuente non possa essere oggetto di sostituzione o di modifica in autotutela. Il chiarimento dell’Agenzia può ritenersi al più una raccomandazione per i contribuenti per rendere più spedito quello che ad esso spetta in ogni caso, dovendo ritenersi pacifico che anche in caso di mancata presentazione dell’istanza il principio del favor rei opera comunque.
Per quanto riguarda, invece, gli atti pendenti davanti alle commissioni tributarie, l’Agenzia chiarisce che nei casi in cui sussistono i presupposti per l’applicazione dell’articolo 3, comma 2, Dlgs n. 472 (abolizione dell’illecito), gli uffici provvedono autonomamente a “ricalcolare” le sanzioni nei provvedimenti emessi e a comunicarne l’esito sia al contribuente che all’organo presso il quale pende la controversia; mentre nei casi in cui sussistono i presupposti per l’applicazione del comma 3 della stessa norma (previsione di una sanzione più favorevole), il ricalcolo delle sanzioni irrogate, sulla base dei principi generali sopra descritti, è effettuato dagli uffici direttamente o su richiesta del giudice.
Secondo l’agenzia quindi per gli atti già impugnati in sede giurisdizionale, la (richiesta di) applicazione del favor rei non deve necessariamente scattare su impulso del contribuente, ma è l’ufficio stesso che provvede autonomamente ad una rimodulazione del trattamento sanzionatorio (invero questa regola dovrebbe valere sempre, posto che come si diceva il meccanismo dell’istanza convince poco). Deve rimanere peraltro sempre fermo, in entrambi i casi, il potere del giudice di rivelare d’ufficio l’applicazione dello ius superveniens favorevole.
Tra i casi più rilevanti di operatività del favor rei ci sono quelli connessi al superamento dell’applicazione di sanzioni proporzionali alle violazioni in tema di reverse charge. È importante peraltro che la novella sul trattamento sanzionatorio del reverse charge trovi applicazione anche nei casi, sempre più frequenti, di contestazioni di stabili organizzazioni occulte, non essendoci ragioni di discriminare situazioni identiche solo perché nell’ipotesi di stabili organizzazioni occulte si contesti che il soggetto di fatturazione prima non esisteva (in altre parole se il cessionario o il committente ha comunque adempiuto agli obblighi di reverse charge, non ha senso sanzionare la stabile organizzazione occulta).
Un caso peculiare riguarda invece l’abuso del diritto. Il nuovo articolo 10 bis dello Statuto del contribuente ha disciplinato anche gli aspetti sanzionatori, sancendo l’inapplicabilità delle sanzioni penali ed al contempo però statuendo che “resta ferma” l’applicabilità di quelle amministrative. A noi questa disposizione sembra o pleonastica (se le sanzioni si applicavano e si applicano non ha senso ribadirlo) o innovativa (abuso ed elusione, ora unificati in una norma che invero recepisce principi già immanenti nell’ordinamento, inquadrano condotte che mal si prestano a reazioni punitive, sia penali che amministrative, perché difettano del canone della tassatività). La Cassazione, con sentenza n. 25537/2012, aveva peraltro sancito l’inapplicabilità anche delle sanzioni amministrative ai casi di abuso del diritto. Ora, nonostante “l’excusatio non petita” riferita all’utilizzo dell’espressione “resta ferma”, si pone un tema per tutti i procedimenti che vedono irrogate sanzioni per elusione e abuso prima dell’entrata in vigore dell’articolo 10 bis che sembra essere la prima norma ad aver previsto tale sanzionabilità.
Altra considerazione da svolgere riguarda la deroga al favor rei prevista per gli atti della procedura di voluntary disclosure. La ratio della deroga fa leva sulla specialità e temporaneità delle norme disciplinanti la procedura di collaborazione volontaria, anche se pure su questo fronte potrebbe svolgersi più di una considerazione critica.
La circolare n. 4/E ricorda infine che, a decorrere dal 1° gennaio 2016, sono entrate in vigore anche le disposizioni della legge di stabilità per il 2015 (legge 23 dicembre 2014, n. 190) che prevedono l’abrogazione di alcuni istituti deflattivi del contenzioso come la riduzione a un sesto delle sanzioni in caso di definizione agevolata ai sensi dell’articolo 15, comma 2-bis, l’adesione all’invito al contraddittorio, previsto dall’articolo 5, comma 1-bis e dall’articolo 11, comma 1-bis, e l’adesione ai processi verbali di constatazione, previsto dall’articolo 5-bis del decreto legislativo n. 218 del 1997.
Al riguardo viene confermato – riteniamo in maniera condivisibile - che, in relazione agli atti notificati entro il 31 dicembre 2015 e definiti in acquiescenza nel 2016, il contribuente ha diritto ad usufruire della definizione agevolata con riduzione ad un sesto delle sanzioni irrogate e successivamente rideterminate in base al principio del favor rei, dal momento che il comma 2-bis dell’articolo 15 del decreto legislativo n. 218 del 1997 era ancora in vigore alla data di emissione dell’atto amministrativo. Si tratta peraltro di capire cosa succede se un contribuente ha già definito un atto in acquiescenza con il pagamento delle sanzioni piene in assenza di un ricalcolo sulla base del principio del favor rei che invece spettava per legge. La soluzione che riconosce al contribuente un credito per i maggiori importi corrisposti sembra essere quella preferibile, anche atteso che la circolare è arrivata tardi. Inoltre riteniamo che la riduzione delle sanzioni ad un sesto possa ritenersi spettante anche nei casi in cui venga emesso un invito nel 2016 che si “distanzi” dalla posizione assunta in un processo verbale di constatazione emesso nel 2015, in quanto è nel 2015 che la pretesa si è manifestata per la prima volta (si tratta del caso trattato dalla circolare 16 febbraio 2009, n. 4, che giustamente fa rivivere la riduzione ad un sesto nei casi in cui il fisco cambi impostazione rispetto al verbale di constatazione).