Diritto

Sequestro liquidità per dati falsi nella voluntary disclosure

Nessun valore esimente se la relazione è stata redatta da un professionista

di Antonio Iorio

La comunicazione di dati e informazioni non veritiere nella relazione di accompagnamento allegata alla domanda di voluntary disclosure consente il sequestro della liquidità del contribuente. Il profitto illecito sul quale eseguire la misura cautelare va quantificato nel maggiore onere fiscale che sarebbe derivato da una fedele dichiarazione. L’illecito è riferibile al soggetto che si avvale di questo strumento anche se la relazione è stata redatta da un professionista, salvo l’ipotesi di un sua autonoma iniziativa.A fornire questi principi è la Corte di Cassazione, con la sentenza 27603 depositata ieri.

Un contribuente era indagato per il reato di esibizione di atti falsi e comunicazione di atti non rispondenti al vero previsto dall’articolo 5 septies del Dl 167/1990, introdotto nell’ordinamento a tutela della fedele presentazione della domanda di adesione alla cosiddetta voluntary disclosure.

Tale norma, in sintesi, sanziona con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni, colui che, nell’ambito della procedura di collaborazione volontaria esibisca o trasmetta atti o documenti falsi, in tutto o in parte, ovvero fornisca dati e notizie non rispondenti al vero.

Nella specie l’indagato, nella relazione di accompagnamento prodotta dal proprio professionista, aveva dichiarato falsamente, tra l’altro, di detenere all’estero una collezione di opere d’arte quale semplice collezionista, mentre secondo gli investigatori si trattava di attività imprenditoriale. Aveva poi omesso di indicare la detenzione indiretta di una società titolare di un ingente patrimonio di opere d’arte all’estero ed ancora dava atto di detenere opere d’arte all’estero in realtà custodite in Italia.

La Procura della Repubblica chiedeva il sequestro delle somme liquide nella disponibilità dell’interessato per un importo ritenuto pari al maggior onere fiscale che sarebbe, invece, derivato da una fedele e puntuale dichiarazione.Il Gip rigettava la richiesta del Pm, che veniva invece confermata dal Tribunale a seguito dell’appello cautelare di quest’ultimo.L’indagato ricorreva così per Cassazione lamentando, tra l’altro, che le compravendite di opere d’arte erano state tutte indicate e non era stato contestato alcun reato tributario. Il patrimonio poi era di origine lecita e di conseguenza non poteva diventare illecito per effetto di un falso nell’ambito di una procedura di collaborazione volontaria avente natura meramente dichiarativa di pregresse attività e disponibilità.Inoltre, la procedura di voluntary disclosure non poteva configurarsi come fatto generatore di evasione fiscale, e comunque era contestato l’inquadramento di imprenditore e non di collezionista operato dagli investigatori.

La Cassazione ha rigettato il ricorso e ritenuto validi, per la fase cautelare, gli elementi addotti dall’accusa. I giudici precisano peraltro che la condotta illecita contestata è riferibile al soggetto che si avvale della voluntary disclosure anche se la relazione sia stata redatta da un professionista salvo l’ipotesi di un’autonoma iniziativa di quest’ultimo.È stata poi condivisa la quantificazione delle somme sequestrate (quali profitto del reato) corrispondenti all’importo “risparmiato” in conseguenza della condotta illecita e calcolati, in buona sostanza, per il differente inquadramento dei redditi “emersi” considerati di impresa da parte degli investigatori.

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