Professione

Si allarga il club del bitcoin e cresce il rischio riciclaggio

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di Alessandro Galimberti

La scelta di Malta di entrare ufficialmente nel club a 4 delle giurisdizioni “amiche” delle criptovalute – aggiungendosi a Svizzera, Corea del Sud ed Estonia, unici paesi ad aver creato sinora un’ecosistema normativo per bitcoin&C – ripropone il tema di “rischi&opportunità” degli asset legati alle tecnologie blockchain. Uno dei mantra del nuovo mondo digitale, che a differenza del web securizza e anonimizza tutti i dati che produce, riguarda appunto il massimo rispetto della privacy di chi opera. Un problema non da poco, si può facilmente intuire, per le amministrazioni fiscali e soprattutto per le autorità del network mondiale dell’antiriciclaggio.

Già dall’ottobre 2013, quando l’Fbi concluse l’operazione Silk Road – sito di commercio elettronico del dark web in cui si trafficava droga pagata (solo) in bitcoin – è emersa chiaramente l’inevitabile utilizzabilità delle criptovalute anche per fini criminali. Da allora la Securities exchange commission e la Commodity futures trading commission americane sono più volte intervenute con provvedimenti regolatori sulle valute virtuali utilizzate in vari schemi di titoli, sulle Ico (Initial coin offering) non registrate e fraudolente, su piattaforme non registrate e per dichiarazioni false e fuorvianti da parte di società quotate in borsa.

L’Italia per una volta è stato il paese precursore, fuori dal circolo dei 4, a inserire le criptovalute nella legge sull’antiriciclaggio (il Dlgs 90/2017, che aggiornava il decreto entrato in vigore 10 anni prima), stabilendo che il cambio tra valuta reale (euro) e virtuale (bitcoin et similia) deve essere “fotografato” dall’intermediario che lo esegue e segnalato, se il caso, all’Unità di informazione finanziaria di Bankitalia.

Sugli stessi standard di trasparenza si muove anche la V Direttiva europea sull’antiriciclaggio (UE 2018/843) che, per illuminare il sottobosco fiscale e di riciclaggio che inevitabilmente ha attaccato il nuovo ecosistema, amplia il novero dei soggetti obbligati a controllare i flussi includendo i prestatori di servizi di cambio tra valute virtuali e valute aventi corso legale e anche i prestatori di servizi di portafoglio digitale per la custodia delle credenziali di accesso alle valute virtuali. La V direttiva, che entrerà in vigore entro il 2020, come si vede istituisce una sorta di “casellante” incaricato di registrare l’ingresso e l’uscita di capitali nel e dal mondo crypt. Basterà per prevenire reati finanziari in cryptovalute? Di certo non quando il reato viene commesso interamente nel mondo virtuale, come i ripetuti furti di wallet avvenuti nell’ultimo anno, uno per tutti il colpo del secolo avvenuto a inizio anno ai danni della piattaforma giapponese Coincheck, trafugato l’equivalente di 530 milioni di dollari con una singola effrazione.

La sfida per il futuro delle crypto e dintorni è la regolamentazione, ovviamente senza zone grigie e armonizzata a livello internazionale. Con l’Italia che, da ieri, ha due comodi sfoghi a Nord (Svizzera) e Sud (Malta) per la grande quantità di asset in nero che da sempre convivono con l’economia legale.

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