Si riapre il cantiere dei tagli agli sconti fiscali
L’opzione resta sul tavolo. Nessuna ufficialità ma dal ministero dell’Economia non si esclude che una prima revisione delle tax expenditures, più volte annunciata negli ultimi anni ma sempre rimandata, possa scattare con la legge di Bilancio autunnale. E non solo perché il possibile intervento è già indicato nell’ultimo Def. Passa infatti per una credibile fase 3 della spending review e, probabilmente, anche per un riordino della giungla degli sconti fiscali la strada per convincere definitivamente Bruxelles a concedere il via libera (già in parte preannunciato) a una nuova fetta di flessibilità pari a 8-9 miliardi da utilizzare nella composizione della manovra autunnale. La legge di bilancio sarà finalizzata soprattutto a sostenere la ripresa che sta mostrando una fisionomia più marcata di quella ipotizzata nei mesi scorsi dal Governo, ma dovrà contenere anche misure di contenimento delle uscite. E a chiedere un riordino del pianeta tax expenditures è stata recentemente anche la Corte dei conti.
La decisione sul piano tax-expenditures, che continua a non affascinare troppo il segretario del Pd, Matteo Renzi, sarà presa a settembre. Due le ipotesi fin qui abbozzate: un taglio selettivo, magari con il meccanismo dei mini-tetti, per “potare” le agevolazioni non più efficaci salvaguardando comunque quelle riconducibili alla famiglia e al sistema di welfare; oppure spianare la strada a un intervento di tipo redistributivo riducendo gli sconti fiscali per chi guadagna di più e salvaguardando (e in alcuni casi rafforzando) le fasce più povere.
In quest’ultimo caso l’operazione verrebbe completamente sganciata dal filone spending review al quale era stata in qualche modo accostata al momento della costituzione da parte del Governo Renzi del primo pool di esperti sulla revisione della spesa (del quale faceva parte anche Roberto Perotti) guidato dal commissario straordinario Yoram Gutgeld.
Il punto di partenza è rappresentato dal primo rapporto elaborato nei mesi scorsi dalla Commissione guidata da Mauro Marè, che ha censito 444 voci tra agevolazioni, sconti, crediti d’imposta, regimi speciali e via dicendo. Con una consistente scrematura rispetto alle oltre 700 agevolazioni fotografate nel 2016. La Corte dei conti, in particolare, aveva fatto notare che le tax expenditures non diminuivano ma, al contrario, crescevano: dal 2011 al 2016 in termini di voci, sempre secondo la magistratura contabile, si era passati da quota 720 a 799 per un costo complessivo attorno ai 313 miliardi di euro (nel 2011 le tax expenditures valevano 253,7 miliardi).
La ricognizione della commissione Marè, che dovrà essere aggiornata annualmente e, quindi, per il 2017 entro la metà di ottobre di quest’anno, ha suddiviso le agevolazioni censite in 20 “missioni” di spesa così come indicate dal bilancio dello Stato. In questo modo emerge che al primo posto ci sono gli interventi a sostegno delle «politiche economico-finanziarie e di bilancio» (111 voci), seguiti dalla missione «competitività e sviluppo delle imprese» (59), nonché quelle «diritti sociali e politiche per la famiglia» (51) e «politiche per il lavoro» (49).
Per rientrare sotto la voce di spesa fiscale e dunque potenzialmente aggredibile dai tecnici del ministero dell’Economia per una revisione o un taglio, l’agevolazione non deve rappresentare una caratteristica strutturale del tributo. Ecco perché dal «panel» delle spese fiscali il rapporto della commissione Marè esclude agevolazioni e bonus pesanti del nostro ordinamento tributario. Così sotto la voce Irpef non rientrano tra le spese fiscali tutte quelle legate alla produzione del reddito (detrazione da lavoro dipendente) né quelle per familiari a carico o ancora le imposte sostitutive sui redditi di capitale. Sotto l’ombrello Ires sono al riparo l’Ace mentre sotto quello dell’Iva ci sono le aliquote ridotte (4, 5 e 10%).