Società a base ristretta, più spiragli per la difesa
La previsione di un regime opzionale, caratterizzato da un duplice livello di tassazione anche per società di persone e imprese individuali, introdotta con l’imposta sul reddito d’impresa (Iri, disciplinata dall’articolo 55-bis del Tuir), riporta alla luce il dibattito giurisprudenziale sugli accertamenti a carico delle società di capitali «a ristretta base societaria», e in particolare sui riflessi di questi ultimi in capo ai soci. Non a caso, nel mese di giugno l’Associazione italiana dottori commercialisti ed esperti contabili (Aidc) ha diffuso un documento in materia (la Norma di comportamento 198). Da molti anni, gli uffici fiscali estendono anche ai soci l’accertamento di maggior reddito a carico di società di capitali a base familiare o, comunque, ristretta, richiedendo a questi soggetti le imposte dovute sulla rispettiva percentuale di utile, con la presuzione che sia stato distribuito “in nero”.
Leggi la linea dettata dai giudici
La linea della Cassazione
La Corte di cassazione, con orientamento costante, ha considerato legittima questa presunzione (non prevista da alcuna norma), salva la facoltà del contribuente di fornire in giudizio la prova che i maggiori ricavi non sussistono o, comunque, non sono mai stati distribuiti. Secondo la Corte, queste conclusioni non violano il divieto di doppia presunzione, poiché il fatto noto (su cui si “appoggia” la presunzione di distribuzione occulta) non è costituito dai maggiori redditi accertati in capo alla società, ma dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di solidarietà e di reciproco controllo tra i soci che caratterizza la gestione di questi enti.
I giudici di merito
Così come delineato, l’onere probatorio accollato al socio si presenta molto difficile da assolvere, tanto è vero che molti giudici di merito continuano a richiedere, ai fini della legittimità degli accertamenti, che questi ultimi vadano al di là della mera considerazione della sussistenza della «ristretta base», dovendo includere altri riscontri (gravi, precisi e concordanti) a supporto del presunto incasso di somme extracontabili da parte dei soci.
Ai fini di una strategia difensiva, tuttavia, una simile impostazione può trovare al massimo accoglimento nei primi gradi di giudizio, essendo non in linea, come anticipato, con l’orientamento dominante dei giudici di legittimità.
Stessa sorte incontra la contestazione sulla presenza di una perdita fiscale in capo alla società (anche se di importo superiore al maggior reddito accertato) o la presenza, nell’ambito della ristretta cerchia di soci, di una società.
Le strategie di difesa
Il socio può dimostrare che i presunti utili extracontabili non sono mai esistiti (riproponendo ed eventualmente integrando la difesa opposta dalla società ad accertamenti non ancora definitivi) o, comunque, non sono mai stati distribuiti (perché investiti o accantonati), ma non è affatto facile.
Il grafico in pagina dimostra come altri spunti difensivi possano avere maggior successo, per quanto legati a situazioni di fatto che non sempre si verificano. A volte è possibile dimostrare con successo l’estraneità del singolo socio alla gestione, ovvero (ancora più efficacemente) il dissidio sussistente con i soci «di riferimento». Appare, infatti, più verosimile che chi possiede una partecipazione di scarso rilievo e chi si sia negli anni opposto alle scelte di gestione non abbia avuto alcun ruolo nella spartizione di un eventuale utile extracontabile, destinato alle tasche dei soci “dominanti”. In questo caso, quindi, la ripartizione pro quota applicata dagli uffici non sembra per nulla cogliere nel segno, come confermato dalla stessa Cassazione.
Altrettanto efficace è la contestazione riguardante la tipologia di infrazione che ha determinato l’accertamento in capo alla società. Infatti, appare evidente che rilievi riguardanti costi (non inesistenti ma) non deducibili o non inerenti non possono riverberarsi sui soci, perché le risorse non possono essere state, contemporaneamente, spese e distribuite.
In quest’ambito, la norma Adc 198/2017 cita altre situazioni che conducono allo stesso risultato, vale a dire gli accertamenti riguardanti la competenza, la rettifica dei criteri di valutazione, la valorizzazione di costi o ricavi su base parametrica (studi di settore, società di comodo, transfer price), o la territorialità (Cfc rules e così via). Inoltre, nonostante la resistenza di alcuni uffici, le somme accertate in capo al socio di società di capitali devono essere tassate come dividendi (e, quindi, non integralmente, ma nella misura in cui tali redditi sono imponibili) e (si ritiene) al netto delle imposte già richieste alla società (che, altrimenti, verrebbero duplicate).