Controlli e liti

Sopravvenienza passiva considerata fittizia: la prova tocca al Fisco

La società aveva dimostrato le ragioni a sostegno della posta di bilancio

di Giorgio Gavelli

Non è legittimo, da parte dell’ufficio accertatore, presumere l’intervenuta distribuzione ai soci di una riserva come conseguenza della compensazione di una sopravvenienza passiva ritenuta – senza alcuna valida motivazione – fittiziamente contabilizzata allo scopo. È la conclusione a cui è giunta la Ctp Milano (presidente e relatore Roggero) con decisione 4011/1/2021.

A una società di capitali – e a tutti i soci come obbligati in solido – veniva contestata la mancata applicazione della ritenuta d’acconto del 26% sulla distribuzione di una riserva da conferimento, cui si aggiungeva la sanzione per la mancata presentazione del modello 770. La società eccepiva in giudizio come non vi fosse stata alcuna distribuzione patrimoniale, visto che la riserva era stata utilizzata contabilmente per coprire una perdita emergente dal bilancio e dovuta principalmente all’iscrizione contabile di una sopravvenienza passiva. Quest’ultima era sorta a seguito dello stralcio di un credito per provvigioni attive mai incassate dalle compagnie assicuratrici per cui la ricorrente svolgeva attività di brokeraggio.

I giudici milanesi osservano che mentre la società aveva fornito ampia documentazione attestante la sussistenza e la genesi della sopravvenienza passiva, l’ufficio si era limitato ad evidenziare “sospetti e dubbi” su questa posta di bilancio, senza dimostrarne in alcun modo la natura fittizia. L’inattendibilità della perdita civilistica avrebbe dovuto trovare fondamento in documenti e motivazioni differenti da semplici illazioni, dovendosi in caso contrario riconoscere efficacia delle risultanze di bilancio.

Più in generale, se è vero che la dimostrazione dei costi deve essere fornita dai contribuenti (in particolare quando si tratti di elementi reddituali non ordinari), la contestazione dell’ufficio non può basarsi su una mera ricostruzione presuntiva priva dei requisiti di gravità, presunzione e concordanza richiesti dal legislatore. Tanto più quando la natura e la giustificazione economica della perdita occorsa viene documentalmente fornita dal soggetto verificato.

In merito alla chiamata in causa dei soci, va osservato che laddove il dividendo sia soggetto alla ritenuta secca del 26% nessuna omissione reddituale può essere imputata a questi ultimi, dato che a tale imposizione alla fonte non consegue alcun adempimento dichiarativo da parte del percettore. Tuttavia, spesso gli uffici “azionano” la coobbligazione in solido prevista dall’articolo 35 del Dpr 602/1973 a carico dei sostituiti, in ipotesi di ritenute a titolo d’imposta non effettuate e non versate. Fattispecie che, nonostante alcuni “inciampi” giurisprudenziali, andrebbe tenuta ben distinta da quella in cui la ritenuta è a titolo d'acconto.

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