Imposte

Sportivi stranieri, il bonus impatriati (ora negato) era già nel 730 del 2020

Detti e contraddetti delle Entrate: la circolare 33/E nega lo sconto sui redditi degli sportivi, ma le istruzioni al 730 lo avevano già dato per acquisito

ANSA

di Antonio Longo

Il rinvio del regime fiscale per gli sportivi professionisti «impatriati» ad opera della circolare 33/2020 delle Entrate dello scorso 28 dicembre rischia di finire in «fuorigioco» rispetto alle istruzioni – di segno opposto - alla dichiarazione dei redditi approvate con provvedimento del 31 gennaio 2020 dalla stessa Agenzia. La questione, che sta mettendo in agitazione i vertici dello sport professionistico italiano, riguarda l’articolo 5, comma 1, lettera d), del decreto Crescita (Dl 34/2019).
La norma aveva previsto un regime speciale applicabile ad atleti, allenatori, direttori tecnico-sportivi e preparatori atletici che operano nell’ambito delle discipline professionistiche riconosciute dal Coni (calcio, basket, ciclismo, golf) e che, residenti per almeno due anni all’estero, si trasferiscono in Italia. Per questi soggetti, i redditi derivanti dall’attività lavorativa svolta in Italia (principalmente gli stipendi corrisposti dal club) non concorrono alla formazione del reddito complessivo nella misura del 50 per cento. L’adesione al regime è opzionale e comporta il versamento di un contributo pari allo 0,5% della base imponibile. Con Dpcm sarebbero dovute essere definite le modalità per il versamento del contributo, ma il decreto ad oggi non è stato emanato. Su queste basi, le Entrate ritengono che la disciplina speciale non si possa applicare (con il paradosso che potrebbero valere i più ampi incentivi previsti in via ordinaria). Si è subito sostenuto su queste colonne (Sole 24 Ore del 29 dicembre) che questo approdo interpretativo appare discutibile: non sembra in linea con il principio di gerarchia delle fonti in quanto il Dpcm è norma di rango secondario rispetto alle disposizioni del decreto Crescita che hanno stabilito l’applicazione degli incentivi dal 2019, oltre al fatto che le circolari non sono fonti del diritto (Cassazione 5137/2014); contrasta con il principio di tutela dell’affidamento potendo compromettere rapporti giuridici in corso.
Ma il paradosso è che la circolare è in contraddizione con le istruzioni alla dichiarazione dei redditi già approvate per il 2019 dalla stessa Agenzia. Nel quadro RC – Redditi di lavoro dipendente e assimilati, sezione I, del modello Redditi 2020 (e vale anche per il quadro C del modello 730/2020) è prevista la casella «Casi particolari» in cui indicare il codice «9» per dichiarare la spettanza delle agevolazioni da parte degli sportivi professionisti. Vero è che di solito il beneficio è riconosciuto direttamente dal datore di lavoro (la società sportiva) e, quindi, la sezione andrebbe compilata solo nell’ipotesi in cui la società non abbia potuto riconoscere l’agevolazione e il contribuente intenda fruirne direttamente in dichiarazione. Le istruzioni sono però inequivoche e assumono che le disposizioni agevolative siano pienamente operanti. Nello stesso senso depongono le annotazioni della Certificazione unica 2020 dove è prevista l’indicazione (codice «CS») dell’ammontare ridotto che concorre a formare il reddito.
L’incertezza è comunque destinata ad influenzare negativamente la finestra di calciomercato di gennaio ed obbliga i club ad un’analisi del potenziale rischio fiscale, valutando eventuali accantonamenti e clausole contrattuali ad hoc nei rapporti con gli sportivi. Insomma, un “terreno pesante” sul piano interpretativo per cui è auspicabile che il Dpcm venga emanato quanto prima anche per specificare – ad abundantiam - che i comportamenti già assunti sono salvi. Più in generale, occorre dare attuazione a quel principio di certezza del diritto su cui oggi più che mai l’Italia deve puntare per attrarre investimenti anche nel settore dello sport.

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