Controlli e liti

Studi di settore, analitico-induttivo solo con scostamenti oltre il 10%

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di Alessandro Borgoglio

La disciplina dell’accertamento analitico-induttivo - compreso quello fondato sugli studi di settore che ne costituisce una sottospecie - richiama tuttora il requisito delle «gravi incongruenze», le quali non possono essere ricavate da precise soglie quantitative fisse di scostamento, ma comportano una valutazione multifattoriale, quale la situazione economica e commerciale del contribuente, nonché la situazione del mercato e del settore di operatività, non disgiunta da opportuni termini di raffronto in tema d’inattendibilità della contabilità per scostamenti superiori al 10 per cento. Lo ha stabilito la Cassazione, con l’ordinanza 16259/2019.

In base all’articolo 39, comma 1, lettera d), ultimo periodo, del Dpr 600/1973, l’esistenza di attività non dichiarate o l’inesistenza di passività dichiarate è desumibile anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti (analogamente dispone, ai fini Iva, l’articolo 54, comma 2, ultimo periodo, del Dpr 633/1972).
Inoltre, l’articolo 62-sexies del Dl 331/1993 stabilisce che gli accertamenti di cui alle suddette disposizioni possono essere fondati anche sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore.

Ai fini di tali accertamenti analitico-induttivi - sia che si tratti di metodo basato su ricostruzioni indirette sia che si fondi sugli studi di settore - è necessaria, quindi, la sussistenza di incongruenze che devono essere “gravi”, anche se non esiste una definizione quantitativa puntuale di tale nozione, sicché i giudici di merito hanno fatto spesso ricorso a dati di esperienza, che in qualche caso sono stati convalidati dalla stessa Suprema Corte: sono state ritenute sussistenti le gravi incongruenze, ad esempio, con scostamenti tra i ricavi dichiarati e quelli accertati dal 4,23% al 21% (Cassazione 17486/2017, 20414/2014, 22946/2015).

Proprio quest’anno, però, per la prima volta, la Suprema corte, anziché affidarsi alle percentuali indicate di volta in volta dalle Commissioni tributarie, ha stabilito una soglia del 10%, al di sotto della quale non possono ritenersi sussistenti le gravi incongruenze legittimanti l’accertamento analitico-induttivo in oggetto: tale soglia è stata desunta dal Regolamento per l’individuazione della contabilità inattendibilein base al Dpr 570/1996 (Cassazione 8855/2019).

L’ordinanza qui commentata appare importante perché risulta, di fatto, una conferma di tale decisum pregresso, atteso che con l’odierna pronuncia i giudici di legittimità hanno nuovamente indicato tale soglia del 10% come punto di riferimento per verificare la sussistenza delle gravi incongruenze, unitamente a una valutazione multifattoriale contingente.

La Cassazione ha così confermato l’annullamento dell’avviso di accertamento analitico-induttivo già bocciato dai giudici di merito, perché fondato sul semplice scostamento, non significativo, tra i ricavi dichiarati e quelli desumibili dagli studi di settore (per di più, in assenza di valutazione sulle giustificazioni addotte dal contribuente in sede di contraddittorio).

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