Adempimenti

Studi di settore, l’accelerazione che serve alla riforma

immagine non disponibile

di Alessandro Santoro

Per rendere operativa la riforma degli studi di settore che sta muovendo i primi passi dopo le linee guida prospettate dalla Sose alla commissione degli esperti è necessario procedere per fasi successive ma accelerando i tempi.

Nel breve periodo, attraverso un’accurata e trasparente analisi dei dati, bisogna distinguere gli studi, ed eventualmente i cluster, che sono stati efficaci nel determinare un incentivo alla compliance da quelli dove questo non è avvenuto.

1) Nel primo caso, è possibile muoversi verso un aggiustamento dell’attuale struttura degli studi, della sua semplificazione e di un arricchimento dell’indicatore di congruità attraverso un insieme coordinato di indicatori di normalità e di coerenza.

2) Nel secondo caso, invece, andrebbe scelto un approccio radicalmente diverso, basato su indicatori più semplici, basati su evidenze empiriche immediatamente riferibili al contribuente (discrepanze derivanti dallo spesometro o dalla fatturazione elettronica) o, nel caso neppure queste siano reperibili, bisognerebbe rinunciare all’approccio presuntivo perché evidentemente privo di una sua intrinseca solidità e affidabilità. Trattandosi di studi dove l’effetto per definizione è stato limitato, la loro abolizione non avrebbe effetti sul gettito. L’ asimmetria di trattamento tra contribuenti si giustificherebbe con il fatto che un metodo presuntivo basato sulla relazione tra input e output è per sua natura utilizzabile solo in certi ambiti.

Dopo aver completato questa prima fase, nel medio periodo gli studi dovrebbero essere ulteriormente rivisti alla luce delle informazioni provenienti dalle comunicazioni Iva, che consentono di ottenere informazioni preziose sull’affidabilità dei comportamenti individuali nelle relazioni business-to-business. Queste informazioni dovrebbero gradualmente sostituire quelle di natura statistica e presuntiva degli studi, giustificando quindi l’enorme investimento di risorse pubbliche e private che la raccolta ed elaborazione di questi dati richiederà. In effetti, quando le comunicazioni Iva saranno entrate a regime, lo spazio degli studi di settore propriamente detti dovrebbe ulteriormente ridursi e riguardare esclusivamente gli operatori business-to-consumer, che del resto sono quelli a maggiore rischio di evasione. Anche per questi ultimi, tuttavia, l’evasione può essere intercettata attraverso anomalie che si registrano nelle relazioni business-to-business e, in particolare, studiando il fenomeno, solo apparentemente anomalo, della mancata dichiarazione di costi, ovvero dell’acquisto di beni e servizi come consumatore finale da parte di soggetti Iva, finalizzato ad occultare le vendite finali senza far emergere mark-up ridotti.

L’individuazione di questi mark-up anomali, dopo aver ricostruito le filiere di forniture utilizzando le comunicazioni Iva, dovrebbe essere il primo indicatore da utilizzare per gli studi dei settori business-to-consumer.

In sintesi, agli studi non serve un maquillage, ma un’opera di revisione profonda e coraggiosa che li integri nella strategia di incentivo alla compliance basata sull’incrocio delle banche dati promossa dall’agenzia delle Entrate.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©