Il CommentoControlli e liti

Su ruoli e cartelle una svolta inopportuna

Le criticità della norma sulla non impugnabilità degli estratti di ruolo

di Gaetano Ragucci

Desta perplessità la notizia dell’approvazione dell’emendamento alla legge di conversione del Dl 146/2021, che negherebbe la possibilità di impugnare il ruolo di riscossione, e ammetterebbe l’impugnazione della cartella «invalidamente notificata» solo nei casi di pregiudizio per la partecipazione a una procedura di appalto, di blocco di pagamenti e di perdita di benefici nei rapporti con una Pa.

Il progetto era stato anticipato dall’amministrazione delle Entrate durante i lavori per la riforma della giustizia tributaria, e aveva ottenuto l’approvazione della Commissione, che si era detta favorevole a una “riconsiderazione” del problema. Tuttavia, isolata dal contesto di una riforma organica che ne avrebbe temperato gli effetti, e inserita in una legge che regola altre materie, la misura porta a conseguenze estreme un cambiamento di paradigma già in atto nel modo di intendere l’amministrazione dei tributi. Il cambiamento che, da una amministrazione che convoglia le proprie energie al confezionamento di atti capaci di superare il vaglio di legalità (amministrazione per atti), porta a un'amministrazione diretta alla migliore tutela dell’interesse pubblico (amministrazione di risultato). È la filosofia sottesa alla riforma che nel 2010 ha introdotto l’accertamento esecutivo, rendendo superflua la cartella per tutti i tributi gestiti dalle Agenzie. Ed è la stessa linea su cui ora si pone anche l’ultimo Ddl per la riforma fiscale, prevedendo l’orientamento del sistema della riscossione «verso obiettivi di risultato piuttosto che di esecuzione del processo» (disegno di legge n. 3343, articolo 8, comma 1, lett. a). Viene da chiedersi a quali ulteriori riduzioni di garanzie si vuole arrivare, se queste sono le premesse.

Quale la portata della novità? Non la si apprezza solo nel caso di accidentale mancata notificazione dell’accertamento al soggetto che si vuole sottoporre a esecuzione. Le conseguenze più dirompenti si osservano nelle fattispecie soggettivamente complesse, che si hanno nel caso di esecuzione nei confronti del coobbligato in solido, o del socio che “succede” alla società debitrice del tributo, estinta per cancellazione. Di regola, in questi casi l’avviso di accertamento è notificato a un soggetto che può non avere impugnato l’atto, o la cui estinzione non impedisce che questo produca effetti, e la cartella è notificata a un altro. Qui vi sono buone ragioni per ritenere che la cartella sia «invalidamente notificata» per l’omessa notificazione dell’atto presupposto al suo destinatario, con pregiudizio del diritto di difesa. Ma sulle conseguenze di questa, che non è solo un’anomalia perché incide su di un diritto costituzionale, non c’è univocità di vedute.

In giurisprudenza non sono mancate pronunce che, facendo leva su di una discutibilissima interpretazione dell’articolo 19. comma 3 del decreto legislativo 546/1992, onerano chi ricorre contro la cartella della contestazione dell’atto presupposto non notificato, in mancanza della quale si prospetta l’inammissibilità del ricorso. Ora si vorrebbe negare la possibilità di impugnare la cartella, con la conseguenza che il coobbligato, o il “successore” della società cancellata, non avrebbero modo di mettere in discussione l’esistenza e l’ammontare del debito, a meno di dover soggiacere all’esecuzione in attesa dell’atto successivo, contro cui finalmente insorgere per mettere in discussione l’intera procedura.