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Tassare i redditi misti: l’inciampo sulla strada verso il sistema duale

di Dario Deotto

Il Ddl delega di riforma fiscale prevede, per l’imposizione personale sui redditi, la progressiva e tendenziale evoluzione verso un sistema di tipo duale, e questo anche per i redditi d’impresa e di lavoro autonomo soggetti all’Irpef.

I sistemi di tipo duale – di origine scandinava – limitano la progressività ai soli redditi da lavoro e applicano ai redditi da capitale un’aliquota proporzionale, generalmente pari a quella del primo scaglione dell’imposta sul reddito personale e tendenzialmente prossima all’aliquota dell’imposta sulle società. Essi nascono dall’esigenza di limitare la tassazione su capitali potenzialmente ad elevata mobilità internazionale e di semplificare l’amministrazione e l’adempimento del prelievo. Inoltre, la tassazione duale ha come finalità anche l’incentivazione dell’investimento in capitale fisico rispetto a quello umano (aspetto che, in un’epoca di sviluppo tecnologico, con la “robotizzazione” del mercato del lavoro, merita attente valutazioni).

Va inoltre rilevato che una realizzazione compiuta del modello duale comporta l’applicazione della tassazione proporzionale anche ai redditi derivanti da altri impieghi del capitale, come gli immobili (in questo senso si esprime anche il Ddl di riforma). Un sistema di tassazione duale dovrebbe prevedere, dunque, la completa uscita del reddito di fabbricati e terreni dalla progressività dell’Irpef e l’applicazione dell’aliquota prevista per gli altri redditi da capitale (con conseguenze tutte da valutare per l’abitazione principale, fatte salve le specifiche esenzioni).

È chiaro quindi che il concetto di tassazione duale risulta molto più ampio rispetto all’esperienza avuta a fine anni ’90 con la Dit italica, che premiava le (sole) imprese che avevano incrementato il capitale proprio investito. E risulta anche molto più esteso rispetto alla più volte evocata Iri, che avrebbe voluto colpire con aliquota proporzionale il reddito prodotto da (sole) società di persone e imprenditori individuali: reddito nettizzato dai prelievi riferibili all’utile, che avrebbero dovuto essere assoggettati alle aliquote progressive.

Nessuna di queste ipotesi, dunque, rappresenta compiutamente uno schema duale di tassazione, il quale ha un ambito di applicazione molto più ampio sia in senso oggettivo che soggettivo.

Peraltro, si rileva che il Ddl delega italiano (che comunque parla di «progressiva e tendenziale» evoluzione verso un sistema dualistico) fa riferimento allo schema duale con applicazione dell’imposta proporzionale per i redditi derivanti dall’impiego di capitale nelle attività d’impresa e di lavoro autonomo, come accade nei paesi scandinavi. Contemplando anche lavoratori autonomi e piccole imprese, quindi, risulta ancora più chiaro il motivo per cui non potranno essere riproposte le vecchie esperienze di Dit e Iri, che presupponevano come condizione la contabilità ordinaria. La tassazione dei redditi misti attraverso il sistema duale, comunque, è sempre risultata problematica, poste le complicazioni che essa determina (a meno di non usare formule forfettarie di “rendimento presunto” sugli asset disponibili).

Più in generale, ci si chiede – considerata soprattutto la chiara disparità che subisce l’investimento in capitale umano rispetto a quello fisico – se sia davvero il caso di intraprendere irte e discutibili ipotesi di imposizione duale e non convergere, a questo punto, verso un’unica flat tax (per tutti i redditi), opportunatamente “corretta” da una fascia d’esenzione e da deduzioni/detrazioni, in modo da garantire la progressività dell’imposizione.