Sui crediti inesistenti o non spettanti deve intervenire la legge
Molti i danni provocati dalle interpretazioni errate dovute alla mancanza di una compiuta disciplina tributaria
La Sezione Tributaria della Cassazione, con l’ordinanza interlocutoria 35536/2022 di dicembre, ha rinviato alle Sezioni Unite la questione relativa all’applicazione al recupero dei crediti “non spettanti” dei termini ordinari (articolo 43, Dpr 600/73) oppure straordinari (articolo 27, comma 16, Dl 185/2008). Quest’ultima norma, infatti, consente, per la sola fattispecie dei crediti inesistenti, che l’atto di recupero sia notificato entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello dell’utilizzo del credito inesistente. La materia è caratterizzata da tecnicismo, aggravato dall’assenza di una compiuta disciplina tributaria. Su tale substrato si innestano varie e arbitrarie interpretazioni amministrative degli uffici che ricostruiscono in via interpretativa fattispecie sanzionatorie, in violazione dei principi di ragionevolezza, capacità contributiva e legalità (articoli 3 e 53, 23 Cost.), sino a trascendere nella violazione del principio di legalità e personalità della responsabilità penale (articoli 25 e 27, comma 1°, Cost.; articolo 7 Cedu). I principi costituzionali precludono la ricostruzione di fattispecie sanzionatorie e di reato in via interpretativa, stanti la tassatività della fattispecie sanzionatoria e il divieto dell’analogia in malam partem. Il mancato intervento del legislatore vulnera, esso stesso, i principi di legalità e capacità contributiva. Ciò vale, a maggior ragione a fronte della nuova denominazione del vecchio Mise in Ministero delle imprese e del made in Italy.
Vale, ancora, in ambiti fondamentali della società italiana (assiciazioni e società sportive su tutte), nei quali il disconoscimento di agevolazioni e correlata notizia di reato spesso nascono dall’incomprensione della fattispecie concreta da parte degli uffici, con effetti esiziali per i soggetti che non sono in grado di resistere in giudizio sino ad avere ragione conclamata innanzi alla Suprema Corte (Cass. Pen. 35977/2021).
Occorre essere chiari sulla responsabilità commissiva dell’inerzia del legislatore a fronte di problemi noti e già oggetto di diversi interventi degli interpreti. Il legislatore e, in caso d’urgenza, il governo hanno l’obbligo costituzionale di sottrarre l’economia nazionale alle incertezze interpretative cui danno causa le lacune normative e le opinioni degli interpreti.
Il contrasto, in realtà, origina da una inadeguata adesione ai principi costituzionali. L’inerzia si accompagna, naturalmente, al proliferare di interpretazioni amministrative di ogni tipo (circolari, risoluzioni, risposte). O la norma non esiste e si cerca di crearla illegittimamente in via interpretativa oppure che la norma non è chiara. Non è accettabile che possa prodursi un danno grave e irreparabile degli effetti anticipatori di simili interpretazioni, nelle more del giudizio. L’incertezza normativa confligge con il consolidamento di ricerca, sviluppo e innovazione e, spesso, con la sopravvivenza delle realtà di associazionismo e terzo settore, disorientate dalla provvisorietà della loro azione.
La Cassazione, con l’ordinanza interlocutoria del dicembre scorso, torna sugli effetti della distinzione tra crediti d'imposta “inesistenti” e crediti d’imposta “esistenti ma non spettanti”, perché, sino ad oggi, né i Governi né il Parlamento hanno sciolto tale quesito fondamentale e pure assai semplice nella risposta costituzionalmente orientata.
La norma sul termine ottennale riguarda i crediti inesistenti, e non i crediti “non spettanti”. Proprio l’inesistenza giustifica il prolungamento eccezionale dei termini di accertamento e recupero. Alla luce dei principi costituzionali richiamati, al credito non spettante non può essere applicata la disciplina, sanzionatoria in via impropria, del termine ottennale per il recupero dei crediti fraudolentemente inesistenti, integranti un fatto di reato penale.
L’ordinanza documenta che la Cassazione non è pervenuta ad una risposta univoca. Diverse pronunce certamente sono chiare nel distinguere i crediti d’imposta inesistenti da quelli esistenti ma non spettanti (Cass. civ. 34444/21, 34445/21; Cass. pen. 7613, 7614 e 7615/22). Altre, invece, non distinguono tra crediti “non spettanti” e “inesistenti” (Cass. 19237/17, 24093/20, 354/21, 25436/22), applicando a tutti il termine di otto anni. Gli interventi della Sezione Tributaria più rigorosi (Cass. 34444/21), svolgendo un’intepretazione adeguatrice della normativa, hanno evidenziato che credito “esistente ma non spettante” e credito “inesistente” sono due fattispecie alternative. Dall’articolo 13, comma 5, Dlgs 471/97 citato, si desume che è “inesistente” il credito mancante, in tutto o in parte, del presupposto costitutivo (credito non reale in base ai dati contabili, finanziari o patrimoniali) e la cui inesistenza non sia riscontrabile attraverso i controlli di cui agli articoli 36-bis e 36-ter del Dpr 602/197 e all’art. 54-bis del Dpr 633/72. In mancanza di uno dei due predetti requisiti, siamo in presenza di un credito “esistente ma non spettante”. Dall’ordinanza in commento emerge una variabile temporale insostenibile anche in chiave Pnrr: nel dicembre 2022 essa rinvia alle Sezioni Unite una questione attinente all’anno d’imposta 2006, a fronte di un atto di recupero notificato nel 2012.
Di fronte ad una simile realtà le riforme appaiono una proiezione velleitaria: non sembra possibile che l’attività di quasi un ventennio prima venga discussa dalle Sezioni Unite, alla cui decisione guardano poi numerosi contenziosi che stanno in piedi proprio sull’errata applicazione di una norma tassativa (crediti inesistenti) a fattispecie che ad essa non sono rapportabili (crediti non spettanti). Il caso italiano è unico nel panorama europeo e integra un danno concorrenziale ingente. La norma da introdurre è semplice. Le imprese e il made in Italy non possono operare in un sistema caratterizzato da una disfunzione nomofilattica evidente che porta il nostro Supremo Collegio, ora ad affermare ora a negare, a distanza di pochi mesi, la decadenza dall’accertamento notificato oltre i termini ordinari in presenza di crediti anche solo “non spettanti”. Parlamento e Governo hanno una precisa responsabilità qualora persistano nell'inerzia normativa.