Terzo settore, sponsorizzazione fuori dall’attività commerciale
Più spazio per le attività di cause related marketing e sponsorizzazione degli Enti del Terzo settore (Ets) dopo la riforma. È questo quello che ci si attende dalle linee guida sulle modalità di svolgimento delle attività di raccolta fondi e diverse che dovranno essere definite con decreto del ministero del Lavoro (articoli 6 e 7 del Dlgs 117/2017).
Il cause related marketing è da tempo prassi diffusa nel settore. Sempre più spesso gli enti non profit concedono l’utilizzo del proprio marchio alle imprese, verso corrispettivo di una somma di denaro che viene integralmente devoluta per finanziare iniziative di solidarietà sociale o progetti di interesse collettivo. In questo modo, l’impresa accresce la reputazione legando il suo nome ad una causa benefica e l’ente può dare maggiore risonanza alla propria attività “sfruttando” la posizione dell’impresa sul mercato (ricevendo al contempo da quest’ultima risorse importanti per portare avanti i suoi progetti).
Discussa è la natura (commerciale o meno) delle entrate che l’ente riceve per l’utilizzo del marchio. La questione è stata affrontata dall’agenzia delle Entrate nella risoluzione 356/E/2002, la quale ha qualificato questo tipo di attività come fiscalmente commerciale. Nonostante il corrispettivo incassato venga devoluto interamente per lo scopo benefico, infatti, l’attività rientrerebbe nello schema negoziale della sponsorizzazione e come tale i relativi proventi andrebbero tassati. Non solo, se l’ente che concede l’utilizzo del marchio è una Onlus, una simile attività sarebbe addirittura vietata (se non nei limiti che vedremo) in base all’articolo 10 del Dlgs 460/1997 e, se svolta, determinerebbe la perdita della qualifica.
Secondo l’amministrazione finanziaria, per svolgere una attività di cause related marketing senza essere tassati (e senza perdere la qualifica per le Onlus) la stessa dovrebbe rientrare nell’ambito di una raccolta di fondi promossa dall’ente. Tuttavia, è necessario che la somma ricevuta dall’ente non profit sia prevalente rispetto al valore economico della prestazione pubblicitaria prestata e che ricorrano i presupposti dell’articolo 108, comma 2-bis, lettera a) del Tuir (raccolta fondi svolta occasionalmente, in concomitanza di celebrazioni, ricorrenze o campagne di sensibilizzazione).
Con la riforma, questa interpretazione di prassi potrebbe essere rivista. In primo luogo, il Dlgs 117/2017 consente agli Ets di svolgere attività di raccolta fondi anche in via sistematica e abituale, richiedendo il requisito dell’occasionalità solo per la qualificazione fiscale dell’attività (come commerciale o meno). Di conseguenza, lo svolgimento di attività di cause related marketing non dovrebbe di per sé comportare la perdita della qualifica di Ets, potendo al massimo incidere sulla qualificazione della singola entrata come commerciale o meno.
In aggiunta, la riforma esclude le attività di sponsorizzazione dal computo delle attività di natura commerciale al fine dell’inquadramento fiscale dell’ente , quando sono svolte nel rispetto dei criteri che saranno definiti per le attività diverse dal ministero del Lavoro. Pertanto, dato che il cause related marketing rientra nello schema negoziale della sponsorizzazione (come riconosciuto dall’agenzia delle Entrate), i compensi ricevuti per l’utilizzo del marchio non dovrebbero incidere sulla qualificazione dell’ente come non commerciale, laddove siano rispettate le condizioni che individuerà il citato provvedimento ministeriale.
Ciò del resto è in linea con l’impianto complessivo della riforma, che cerca di incentivare l’autofinanziamento degli Ets anche tramite l’esercizio di attività commerciali (purché secondarie e strumentali), incoraggiando la raccolta di risorse attraverso canali diversi da quelli classici del no profit ed evitando il ricorso sistematico a contributi pubblici ed erogazioni liberali di terzi.
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