Vanno adottati modelli organizzativi autonomi
Fermo restando che, secondo la più recente giurisprudenza di legittimità, non è possibile desumere la responsabilità delle società controllate dalla mera esistenza del rapporto di controllo o di collegamento all’interno di un gruppo di società, è comunque opportuno stabilire in presenza di quali condizioni del reato commesso da un’impresa appartenente a un gruppo possano essere chiamate a risponderne le altre società e, in particolare, la capogruppo e capire quali accorgimenti organizzativi possano essere adottati per non incorrere in tale responsabilità.
Oltre alla responsabilità civilistica che può discendere dall’appartenenza a un gruppo societario, le imprese possono rispondere anche per i reati societari e fallimentari, che talvolta contengono espressi riferimenti al “gruppo”, come quello ad esempio di bancarotta fraudolenta (articolo 216 Lf) o di false comunicazioni sociali, consistente nell’esporre fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero (articolo 2621 Cc) ovvero nell’omettere fatti materiali rilevanti sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale la stessa appartiene (articolo 2622 Cc).
Così come pure le società appartenenti al gruppo potrebbero trovarsi a rispondere del reato di “infedeltà patrimoniale”, che punisce gli amministratori, i direttori generali e i liquidatori che, avendo un interesse in conflitto con quello della società, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o altro vantaggio, compiono o concorrono a deliberare atti di disposizione dei beni sociali, cagionando intenzionalmente alla società un danno patrimoniale (articolo 2634 Cc).
Proprio in merito al reato di infedeltà patrimoniale, si fa rilevare che la più recente giurisprudenza di legittimità ha precisato che non è sufficiente guardare ai vantaggi compensativi in una dimensione di tipo meramente aritmetico, essendo, invece, necessario evidenziare il collegamento auna “logica di gruppo”. Pertanto, in presenza del riacquisto da parte di una società del gruppo del proprio marchio precedentemente ceduto ad altra società collegata a un prezzo del tutto incongruo – non è possibile invocare la “neutralizzazione” dei vantaggi compensativi semplicemente rilevando il dato storico dell’esistenza di erogazioni, anche di importo superiore, in senso contrario. Tanto più quando tali erogazioni si sostanziano in finanziamenti che, per quanto postergati, non fanno che accrescere l’esposizione debitoria della società finanziata (Corte Cassazione, sentenze 22215 e 22216 del 2017).
In ogni caso, una valida scelta per cercare di azzerare il rischio di configurazione della responsabilità in capo alle società appartenenti al gruppo e, in particolare, alla holding sembra essere l’adozione da parte di ciascuna società di un proprio autonomo modello organizzativo, realmente calibrato sulla realtà organizzativa della singola impresa. Infatti, solo quest’ultima può realizzare la puntuale ed efficace ricognizione e gestione dei rischi di reato, necessaria affinché al modello sia riconosciuta l’efficacia esimente di cui all’articolo 6 del decreto 231. Inoltre, soltanto l’adozione del modello da parte di ciascuna società del gruppo conferma l’autonomia della singola unità operativa del gruppo e, perciò, ridimensiona il rischio di una risalita della responsabilità in capo alla controllante.