Controlli e liti

Veicoli intestati ai singoli o all’associazione: i giudici non sempre distinguono

Commissioni tributarie provinciali e regionali spesso contrastanti tra loro

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di Giorgio Gavelli

Anche a una parte dei giudici di merito sembra sfuggire la netta distinzione sussistente tra gli autoveicoli intestati allo studio associato (utilizzati dai membri assegnatari dei medesimi tanto per trasferte di lavoro quanto per viaggi personali) e quelli di proprietà dei singoli associati (rimborsati solo per i chilometri percorsi nello svolgimento della professione).

Secondo la decisione 137/02/2020 della Commissione tributaria di Reggio Emilia, a quest’ultima fattispecie si applicherebbe l’articolo 164, comma 1, lettera b), Tuir, e quindi la deducibilità limitata alla misura del 20%. Conclusione, peraltro, non inedita essendo stata in passato affermata dalla Ctp di Treviso (n. 10/08/2015). Ma queste affermazioni assumerebbero un significato se i rimborsi spese riguardassero qualunque percorso compiuto dagli associati, anche quello per andare in vacanza. Ci si dimentica, in sostanza, che la forfettizzazione dell’inerenza prevista dal legislatore (peraltro con percentuali assai discutibili) ha senso quando un bene viene utilizzato promiscuamente sia per un’attività d’impresa, arte o professione sia per i trasferimenti di svago o, comunque, a scopo personale, mentre è priva di significato se vi è la dimostrazione che i costi sono solo quelli sostenuti per tale attività, essendo già depurati all’origine di quelli non inerenti. Se si perde di vista questo concetto riesce molto difficile spiegare per quale motivo lo studio associato può dedurre integralmente i chilometri della segretaria che si reca, con la propria auto, a depositare il ricorso in Ct e non quelli dell’associato professionista che va a discuterlo.

Assai difficilmente condivisibile appare anche la posizione assunta nella decisione 2185/02/2018 della Ctr Puglia, che ha considerato deducibili solamente i costi chilometrici addebitati analiticamente ai clienti in fattura: se si seguisse questo ragionamento, infatti, nessuna spesa generale di studio sarebbe deducibile. Persino la decisione della Ctr Veneto n. 165/11/2017, pur favorevole ai contribuenti anche se ora cassata dall’ordinanza 2831/2022 della Cassazione, contiene una motivazione assai poco convincente.

Con circolare 6/E/2009 l’amministrazione finanziaria, trattando il caso dei rimborsi spese per le trasferte dei soci di una società di persone, pur negando l’applicabilità diretta dell’articolo 95, comma 3, Tuir al caso di specie, ha affermato che queste spese «possono, invece, essere portate in deduzione secondo il generale principio di inerenza che sottende alla determinazione del reddito di impresa». È stato, quindi, riconosciuto che la situazione (identica a quella che si verifica negli studi associati) è, in primis, regolata dai principi generali del sistema d’imposizione della singola tipologia di reddito. Atteso, tuttavia, che tali principi non riescono a fugare i disorientamenti giurisprudenziali, è forse opportuno che intervenga il legislatore con una norma espressa.

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