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Vendite online, 4 indicatori decidono l’Iva applicabile

La Corte Ue inquadra il ruolo del fornitore che fissa il Paese di riferimento

Come fa una famiglia belga (Iva 21%) a risparmiare il 4%, pagando l’Iva del Lussemburgo (17%) su un acquisto, ad esempio, di mobili? Le regole attuali fanno dipendere il luogo di tassazione da quello di consegna, in funzione di chi dà l’incarico del trasporto. Così i nostri amici belgi comprano in Lussemburgo, dove avviene la consegna, e danno mandato al trasportatore (verosimilmente indicato dal venditore) per eseguire la consegna in Belgio. Se il trasportatore fosse stato incaricato dal venditore, l’imposta applicabile sarebbe invece quella del luogo di destinazione.

Dal 1° gennaio 2021 questa condizione sarà meglio esplicitata (direttiva Ue 2017/2455), dando rilievo al fatto che il venditore possa essersi occupato anche «indirettamente» del trasporto.

La sentenza della Corte di giustizia del 18 giugno, nella causa C-276/18, si inserisce in questo contesto delle vendite transfrontaliere, con la variante che il contratto sia stato concluso via internet (le “vendite a distanza”).

La sentenza su questo punto è fondata sulle disposizioni contenute nell’articolo 33 della direttiva 2006/112/Ce che, sino alla fine di quest’anno, prevede la debenza dell’imposta nello Stato di destinazione dei beni solamente quando il trasporto è effettuato dal fornitore o per suo conto, in deroga alla regola generale sancita dall’articolo 32 della medesima direttiva dove è stabilito che la tassazione avvenga nello stato di origine.

Secondo i giudici unionali ciò si verifica «qualora il ruolo del fornitore sia preponderante quanto all’iniziativa nonché all’organizzazione delle fasi essenziali della spedizione o del trasporto dei beni», circostanza questa che tocca ai giudici nazionali stabilire.

Sotto questo profilo la sentenza assume particolare rilevanza perché sono ben evidenziati alcuni elementi utili a determinare se il fornitore abbia svolto tale ruolo.

1. Ad esempio, viene data particolare importanza al sito web sul quale i beni interessati vengono proposti, nonché alla lingua in cui tale sito è accessibile.

2. Pari rilevanza viene data «al fatto che i contratti relativi alla spedizione o al trasporto di tali beni possono essere stipulati direttamente sul sito web di tale fornitore senza che gli acquirenti siano tenuti a intraprendere azioni autonome al fine di contattare le società incaricate di tale spedizione».

3. Altri elementi che secondo la Corte depongono per un intervento diretto del fornitore possono essere la determinazione del soggetto su cui grava il rischio connesso alla spedizione e alla cessione di beni.

4. Infine, rileva la modalità di pagamento se le due operazioni di cessione e di trasporto sono oggetto di un’unica transazione finanziaria.

Sulla base di queste considerazioni la Corte di giustizia ha riconosciuto la validità delle domande pregiudiziali sollevate dai giudici ungheresi, i quali si interrogavano sulla correttezza del recupero dell’imposta da parte della propria amministrazione finanziaria, nei confronti di un’impresa polacca che aveva effettuato delle vendite nei confronti di privati residenti in Ungheria tramite il proprio sito web.

Per l’amministrazione finanziaria ungherese, infatti, la società polacca aveva violato gli obblighi di identificazione e di versamento dell’imposta in Ungheria. Al contrario, sussistevano i presupposti per ritenere operanti le disposizioni dell’articolo 33, con la conseguenza che l’imposta era dovuta nel Paese di destinazione, dove i beni si considerano immessi in consumo. «Pertanto, secondo le informazioni di cui dispone la Corte e fatta salva la verifica da parte del giudice del rinvio, sarebbe possibile ritenere che la ricorrente nel procedimento principale abbia svolto un ruolo preponderante riguardo sia all’iniziativa sia all’organizzazione delle fasi essenziali della spedizione o del trasporto dei beni di cui trattasi nel procedimento principale, cosicché si deve ritenere che tali beni siano stati inviati per conto del fornitore, ai sensi dell’articolo 33 della direttiva 2006/112».

L’impresa aveva operato con l’avallo e in conformità del parere del Fisco polacco, ma per i giudici ungheresi era intervenuta nel trasporto, rendendo così non corretta l’applicazione della tassazione delle cessioni in Polonia. Anche qui erano in discussione quattro punti di aliquota (23% per la Polonia e 27% per l’Ungheria), ma il problema sussiste anche a parità di tassazione, come in un caso storico tra Italia e Austria, che allora avevano entrambe l’aliquota del 20%.

A questo punto la sentenza affronta il delicatissimo argomento della sovranità fiscale degli Stati membri Ue, stabilendo come sia ininfluente la circostanza che uno Stato membro riscuota l’imposta per impedire che un altro Stato unionale pretenda l’Iva sulla stessa operazione, in quanto la considera territorialmente rilevante nel proprio Paese.

Nella sentenza si afferma infatti che i giudici nazionali, quando riscontrano una discrasia di comportamenti rispetto alle disposizioni contenute nella direttiva Iva che impediscono una doppia tassazione, debbano presentare una domanda pregiudiziale alla Corte di giustizia Ue, in modo che si possa stabilire quale dei due Stati abbia indebitamente percepito l’imposta da cui scaturirà l’obbligo della sua restituzione.

Secondo la Corte, visione e approcci diversi da parte degli Stati membri non possono comunque portare a una errata applicazione della direttiva.