Via libera alla transazione fiscale solo con entrate extra aziendali
I risanamenti aziendali, da ora in poi, saranno influenzati pesantemente dall’orientamento espresso dall’agenzia delle Entrate nella circolare 16 del 23 luglio (si veda Il Sole 24 Ore del 24 luglio).
L’articolo 160, comma 2, della legge fallimentare consente, nel concordato preventivo, di soddisfare i crediti privilegiati (tra i quali quelli fiscali) in misura parziale, se l’attivo realizzabile con la liquidazione dell’impresa è insufficiente per pagarli integralmente. Ad esempio: se i debiti privilegiati diversi da quelli fiscali (da pagare prima di quelli fiscali) sono pari a 100 e quelli fiscali a 80 e in caso di liquidazione l’attivo consente un realizzo solo di 50, significa che i primi (cioè i debiti non fiscali) potrebbero essere pagati solo per il 50% e quelli fiscali in nessuna misura. Pertanto, per l’approvazione del concordato, l’impresa debitrice potrebbe offrire, relativamente ai debiti privilegiati non fiscali, non più di 50 e, relativamente a quelli fiscali, 20, attingendo altrove le risorse per soddisfare questi ultimi.
Che cosa è la «nuova finanza»
Secondo un orientamento giurisprudenziale (Tribunale di Treviso 16 dicembre 2015 e 23 marzo 2015, Tribunale di Torino 7 novembre 2013, Tribunale di Rovereto 13 ottobre 2014, Tribunale di Milano, 3 novembre 2016) questo importo di 20 costituisce sempre «nuova finanza» cioè un apporto esterno, perché non presente nel patrimonio del debitore al momento dell’apertura della procedura di concordato, sia quando è conferito da soggetti vicini all’impresa debitrice (ad esempio i suoi soci) per favorire l’approvazione del concordato, sia quando proviene dalla prosecuzione dell’attività aziendale.
In questo modo, in riferimento all’esempio che precede, il Fisco riceverebbe un pagamento che alternativamente, cioè senza la proposta concordataria, non potrebbe ricevere e ciò dovrebbe indurlo ad approvare questa proposta.
Tuttavia, in base a un indirizzo opposto (Tribunale di Milano, 15 dicembre 2016 e Corte di Appello di Venezia, 12 maggio 2016), che fa leva sull’articolo 2740 del Codice civile (secondo cui il debitore risponde dell’adempimento delle sue obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri) quelle risorse di 20 non costituirebbero un apporto esterno, perché prodotte dalla stessa impresa debitrice e non fornite da altri soggetti. Da questa tesi discende che quelle risorse di 20, non costituendo reale «nuova finanza» ma facendo parte del patrimonio del debitore, non possono essere destinate liberamente dall’impresa debitrice al soddisfacimento di un creditore piuttosto che di un altro, ma devono soddisfare i creditori secondo l’ordine delle cause di prelazione stabilite dalla legge. Riprendendo l’esempio, ciò significa che quelle risorse di 20 dovrebbero integrare il pagamento offerto ai creditori privilegiati assistiti da privilegio di grado anteriore a quello del Fisco, che riceverebbero quindi un pagamento di 70 e non di 50, con la conseguenza che esse non potrebbero essere destinate al soddisfacimento dei crediti erariali.
È evidente che, ogniqualvolta trovi applicazione questo indirizzo, creandosi una simile situazione, l’Amministrazione finanziaria non ha alcun interesse ad approvare la proposta concordataria.
Sino a oggi, tuttavia, in assenza di istruzioni al riguardo, gli uffici delle Entrate non hanno in genere applicato il principio illustrato, per decidere se approvare o meno le proposte di transazione fiscale formulate loro nell’ambito di procedure di concordato preventivo.
La linea dell’Agenzia
Con la circolare 16 del 23 luglio 2018 la divisione Contribuenti dell’Agenzia ha affermato ora che, in ordine al confronto tra il prevedibile esito della proposta di concordato (con connessa transazione fiscale) e quello dell’alternativa liquidazione richiesto dal comma 1 dell’articolo 182-ter della legge fallimentare, occorre «tener conto anche del maggiore apporto patrimoniale, rappresentato dai flussi o dagli investimenti generati dalla eventuale continuità aziendale oppure ottenuto all’esito dell’attività liquidatoria gestita in sede concordataria, che non costituisce una risorsa economica nuova, ma deve essere considerato finanza endogena». Poiché la proposta di transazione fiscale può (e deve) essere approvata dal Fisco se essa è per l’Erario più conveniente della liquidazione, in base a tali istruzioni questo presupposto si verifica solo se il piano concordatario prevede l’apporto di finanza che non sia «endogena» e che quindi, secondo l’Agenzia, non sia costituita solo dai flussi finanziari generati dalla continuazione dell’attività.