Professione

Pir, fondi in allarme sui decreti: troppi vincoli, raccolta a rischio

di Lucilla Incorvati

Meno di 60 milioni. Per la precisione: 57,9 milioni. È quanto hanno raccolto i Piani individuali di risparmio a gennaio. Attenzione, però, sono i flussi che arrivano solo da chi un piano lo ha acquistato nel 2018 o nel 2017, quindi prima dell’entrata in vigore a gennaio della legge di bilancio 2019 che di fatto ha bloccato il mercato.

La nuova normativa prevede infatti nuovi vincoli all’investimento (3,5% da destinare all’Aim e 3,5% al venture capital), ma finchè non arrivano i decreti attuativi che spiegano con quali criteri investire, nessuno si muove. Le nuove regole non piacciono in primis ad Assogestioni, che sin dall’inizio si è detta contraria al nuovo regime perché crea prodotti senza quella liquidabilità necessaria per uno strumento destinato ai piccoli investitori. Il giudizio è ancor più negativo di fronte alle prime indiscrezioni pubblicate ieri da Il Sole: «Per un commento ci riserviamo di leggere il contenuto del Decreto - spiega Marco Rosati, ad di Zenit Sgr, tra le prime società a credere nel prodotto Pir - ma è stupefacente che dopo la scelta discutibile di mettere mano ad una legge che funzionava anche ora alle prese con la parte pratica il legislatore non si sia confrontato con l’industria del risparmio gestito». «Lo strumento Pir è stato fino alla fine del 2018 un successo - gli fa eco Tommaso Corcos, ad di Eurizon - Si è aperta infatti una strada allo sviluppo di fonti di finanziamento alle Pmi alternativo al canale bancario che ha avuto già tante ricadute positive. Purtroppo è evidente che le novità normative introdotte che prevedono l’inserimento di nuovi vincoli in strumenti illiquidi, sono incompatibili con la natura del fondo aperto. Gli strumenti illiquidi trovano una collocazione naturale dentro i fondi chiusi come l’Eltif che potrebbe avere una veste Pir compliant». L’ad di Eurizon auspica un rimettere mano alla disciplina dei Pir, differenziando adeguatamente le due forme di investimento.

Anche Alberto Borgia, presidente Aiaf, sottolinea che la normativa si è irrigidita impattando su strumenti positivi sia dal punto di vista finanziario sia fiscale. «L’ingresso dei venture capital, sebbene sia comprensibile la volontà del Governo - spiega -, porta con sé un rischio troppo elevato per gli investitori vista l’incognita dettata proprio dalla difficoltà di valutazione degli stessi con una formulazione del capitale non ben definita. La soglia del tetto dei 15 milioni può essere positiva, soprattutto come iniezione alle nostre Pmi, anche se al momento sembra ancora mancare un indirizzo ben preciso». E anche Alessandro Melzi d’Eril, condirettore Generale di Anima Sgr, auspica che il decreto chiarisca alcuni punti: «Sui titoli Aim ci auguriamo che il limite dei 7 anni non sia restrittivo perché limita l’universo investibile escludendo chi ha più di sette anni di vita. Il decreto deve anche indicare cosa accade ai nostri investimenti se superiamo i sette anni. Per ora siamo alla finestra ma certamente non siamo obbligati a lanciare nuovi Pir».

Dall’altro lato c’è il mondo del Venure Capital che invece guarda con ottimismo ai nuovi Pir. «Le start up sono le imprese innovative del nostro paese che non possono essere trascurate se si vuole intervenire sulla crescita dell’economia reale - sottolinea Massimiliano Magrini,direttore generale di United Ventures - Sul tema della illiquidità penso che il 3.5% sia gestibile. Certo forse più gravoso da un punto di vista amministrativo».

Non mancano poi contributi concreti come quelli di Assosim che propone la “percentualizzazione” dell’agevolazione fiscale in caso di mancato raggiungimento delle percentuali minime di investimento di un Pir in strumenti negoziati in un Mtf e in fondi di venture capital. «Si vuole evitare che la evidente difficoltà/impossibilità per i gestori di rispettare sin da subito il vincolo richiesto per tali investimenti - dettaglia Franco Fondi, coordinatore del Comitato permanente fiscale di Assosim - blocchi la sottoscrizione di nuovi Pir e nel contempo di dare tempo al mercato per rendere disponibili strumenti acquistabili. Si tratterebbe di prevedere in caso di mancato raggiungimento dei limiti di investimento in strumenti negoziati in un Mtf e in Fvc il beneficio della esenzione fiscale ridotto in proporzione alla percentuale che il Pir non è riuscito ad investire con riferimento al periodo minimo di detenzione di ameno cinque anni o sino al disinvestimento».

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