Controlli e liti

La Cassazione assolve Dolce e Gabbana perché il fatto non sussiste

di Giovanni Negri

«W l'Italia». Non è Francesco De Gregori, ma così concludono uno stringato comunicato gli stilisti Domenico Dolce e Stefano Gabbana. E ne hanno ragione. La Corte di cassazione, Terza sezione penale, ha chiuso ieri sera per sempre, con la formula «perché il fatto non sussiste» una vicenda penale lunga sette anni. Gli elementi di prova alla base della condanna (1 anno e 6 mesi) per evasione fiscale inflitta nella primavera scorsa da parte della Corte d'appello di Milano non hanno retto al giudizio della Cassazione. Insieme ai due stilisti sono state assolte altre tre persone (Cristiana Ruella e Giuseppe Minoni, rispettivamente direttore generale e direttore finanziario della maison e il consulente del gruppo, Luciano Patelli). È stata annullata ma con rinvio, invece, la sentenza nei confronti di Alfonso Dolce, fratello del creatore di moda e amministratore della Gado, la società al centro del procedimento. Per lui, comunque, l'appello è solo un'ipotesi di scuola, visto che tutto il procedimento si prescriverà tra pochi giorni.
Finisce così uno dei procedimenti che hanno segnato la storia recente del diritto penale tributario. Si era aperto con il primo verbale di costatazione del Nucleo di polizia tributaria di Milano nel settembre 2007 a carico del gruppo della moda, cui ne era seguito uno del 2009 verso i due stilisti. I due atti da cui era partita l'indagine penale mettevano nel mirino la cessione dei marchi «Dolce&Gabbana» e «D&G» alla Gado, una società lussemburghese che, nel quadro accusatorio, veniva considerata oggetto di una esterovestizione, cioè di una collocazione di sede all'estero per finalità elusive.
Nell'aprile 2011 a chiusura delle indagini il Gup proscioglieva gli imputati dall'accusa di truffa ai danni dello stato e dichiarazione infedele. I pm non si arrendevano e presentavano ricorso per Cassazione che, quella volta, accolse le ragioni dell'accusa, dando il via al giudizio di merito per le imputazioni di omessa e infedele dichiarazione. Nel maggio 2013 arrivava la prima condanna per tutti gli imputati (le società dovevano essere considerate italiane a tutti gli effetti e pagare le imposte in Italia), condanna poi confermata in appello, nella primavera di quest'anno, malgrado una requisitoria del Procuratore generale che fece discutere. Il Pg sostenne, tra altro che con quell'operazione, «Dolce e Gabbana hanno pensato in grande come un grande gruppo in espansione nel mondo, pensavano alla quotazione in Borsa per porsi alla pari degli altri grandi gruppi nel settore e sono andati in Lussemburgo perché là c'è un regime fiscale capace di attrarre capitali e attirare investitori internazionali». Nel mezzo c'era stata la clamorosa serrata di tre giorni dei negozi milanesi, decisa da Dolce e Gabbana in polemica con le parole dell'assessore al Commercio che dichiarò che avrebbe negato «spazi simbolo della città» ai due stilisti.
Ora è stata scritta una parola fine a un «processo che non avrebbe mai dovuto essere celebrato» (dissero i legali di Patelli, Franco Coppi ed Enrico Bana) che però chiude solo la vicenda penale. Per quella fiscale, scaturita dai medesimi eventi sui quali si è espressa ieri la Corte, i due stilisti sono stati sanzionati, tra l'altro, dopo due giudizi di merito, con 343 milioni di euro. In un altro procedimento sono in discussione 133 milioni di valore dei marchi su cui ridterminare l'imposta. Ora, è almeno azzardato sostenere l'immediato automatismo del verdetto definitivo di proscioglimento penale anche nel filone tributario. Le pronunce delle commissioni tributarie, per i casi di esterovestizione, si basano su elementi di presunzione che, se non trovano posto nel più rigoroso processo penale, possono invece essere determinanti in quello fiscale. Fondamentale sarà, perciò, la lettura delle motivazioni della Cassazione disponibili solo tra qualche settimana.

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