Controlli e liti

Aliquote Irap speciali: per la Consulta illegittimi gli aumenti delle Regioni

di Raffaele Rizzardi

Le Regioni non possono aumentare le aliquote Irap speciali transitorie. La legge ammette, infatti, interventi solo sull’aliquota ordinaria. È il principio stabilito ieri dalla sentenza 128/2019 della Corte costituzionale .

Non è la prima volta che la Consulta enuncia un principio interpretativo per l’imposta regionale sulle attività produttive: questo tributo è un’imposta stabilita dalla legge dello Stato, che viene direttamente destinata e introitata dalle finanze di ciascuna regione, ma che può essere modificata da ciascun ente territoriale solo nei limiti in cui la norma nazionale lo consente.

In questo caso sono state analizzate tre leggi regionali, rispettivamente del Veneto, delle Marche e della Sicilia, che avevano variato in aumento l’aliquota speciale che la legge nazionale aveva introdotto per le banche, gli intermediari finanziari e le imprese di assicurazione nei periodi di imposta dal 1998 al 2002 (articolo 45, comma 2 della legge Irap, Dlgs 446/97). Per quest’ultimo anno, cui si riferiscono le liti, l’aliquota di questi soggetti era stabilita nella misura del 4,75 per cento.

L’illegittimità della decisione delle Regioni di aumentare quest’aliquota speciale era di palese evidenza: la facoltà di variare le aliquote dell’Irap è infatti prevista dall’articolo 16, comma 3 della legge, ma solo relativamente a quella ordinaria dello stesso articolo 16, comma 1. E, quindi, non era ammessa per un’aliquota speciale transitoria disciplinata da una norma completamente diversa.

La facoltà di incrementare l’aliquota per banche e assicurazioni è tornata in capo alle Regioni solo dal 2003, al termine cioè della disciplina transitoria, ma la maggiorazione può operare solo sull’aliquota ordinaria.

La regione Sicilia, essendo a statuto speciale, è intervenuta in giudizio facendo valere le prerogative che la contraddistinguono. Ma la Corte ritiene che anche in questo caso la disciplina Irap sia quella dettata dalla legge nazionale, che all’articolo 24 circoscrive i poteri sia delle Regioni a statuto ordinario che speciale.

La distribuzione della potestà legislativa è stabilita dall’articolo 117 della Costituzione, nel testo della riforma del 2001 che, al comma 2, lettera e) individua la competenza esclusiva della normativa nazionale per il sistema tributario dello Stato. I limiti alla potestà regionale, che sono tornati in evidenza con questa sentenza, discendono pertanto dalla qualificazione dell’Irap come legge statale.

Tra le pronunce precedenti della Corte, la nuova sentenza ricorda la decisione 177 del 2014 (stesso tema per una legge regionale lombarda) e la sentenza 357 del 2010, con cui è stata dichiarata l’illegittimità di una legge della Provincia autonoma di Trento, che aveva operato in senso opposto, riducendo di un punto l’allora vigente aliquota speciale per il settore agricolo (ora disciplinato in via permanente), che era pure prevista dall’articolo 45 della legge Irap, questa volta al comma 1.

Un ultimo tentativo di difesa delle Regioni riguardava la possibile applicazione di una sanatoria, prevista dall’articolo 2, comma 22, della legge finanziaria 2004, relativa alla convalida delle disposizioni regionali in tema di Irap, emanate in modo non conforme ai poteri ad esse attribuiti dalla normativa statale. Questa non conformità, secondo la Corte, avrebbe potuto convalidare solo comportamenti adottati in modo errato, ma solo nell’ambito dei poteri concessi dalla legge nazionale. Non vengono fatti esempi, ma avrebbe potuto essere il caso della maggiorazione dell’1,20% dell’aliquota ordinaria, in eccesso quindi rispetto al limite legale dell’1%. Ma per le aliquote transitorie nessuna facoltà era concessa alle Regioni.

Corte costituzionale, sentenza 128 del 28 maggio 2019

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