Controlli e liti

Irap sugli utili infragruppo? Questione alla Consulta

La Ctp Reggio Emilia 374/2/2020 solleva la legittimità del prelievo sul 50% di tutti i dividendi

di Stefano Sereni

Rimessa alla Corte costituzionale la decisione sulla possibile violazione dell'articolo 3 della Costituzione da parte della norma che assoggetta a Irap il 50% di tutti i dividendi, percepiti da banche e intermediari finanziari, compresi quelli derivanti da attività finanziarie non detenute per la negoziazione. Questo è quanto contenuto nell’ordinanza 374/2/2020 della Ctp di Reggio Emilia (presidente e relatore Montanari), depositata lo scorso 18 dicembre.
Una holding bancaria, in applicazione di quanto disposto dall'articolo 6 del Dlgs 446/1997, per diverse annualità faceva concorrere al valore di produzione rilevante ai fini della base imponibile Irap il 50% di tutti i dividendi percepiti, sia quelli da trading che quelli interni. Successivamente presentava istanza di rimborso per quanto versato in relazione a questi ultimi, impugnando poi il silenzio-rifiuto dell’ufficio.
In estrema sintesi la contribuente col proprio ricorso:
- chiedeva l’applicazione diretta nel diritto interno della direttiva europea «Madre-Figlia» (2011/96/Ue del 2011) che prevedeva la tassazione massima del 5% anche per i dividendi in questione;
- domandava la rimessione alla Corte di giustizia europea della decisione sulla compatibilità della normativa nazionale con quella europea sul punto;
- sollevava questione di legittimità costituzionale per violazione del principio di proporzionalità, del mezzo rispetto al fine, sancito dall’articolo 3 della Costituzione.
La Ctp, conformemente a quanto eccepito dall’ufficio nelle proprie controdeduzioni, ha innanzitutto escluso la possibilità di applicazione della normativa europea in questione, che riguardava solo l’Ires e non l’Irap. In relazione invece alla possibile violazione della Costituzione, i giudici hanno evidenziato che la norma (articolo 6, Dlgs 446/1997) prevede il parziale assoggettamento a imposta dei dividendi percepiti da banche e intermediari finanziari, nella misura forfettaria del 50%, sul presupposto che gli stessi derivino dall’attività di negoziazione tipica di questi soggetti. In sintesi il fine del legislatore sembra quello di voler “colpire” i dividendi da trading.
Questi ultimi, in realtà, sono separatamente e autonomamente iscritti nel bilancio bancario, quindi sono ben identificabili. Pertanto l’obiettivo avrebbe potuto essere perseguito tramite una specifica previsione di imponibilità di questi utili, senza utilizzare un meccanismo forfetario, per sua natura impreciso.
In conclusione la scelta di quantificare nel 50% di quelli totali (iscritti nella Voce 70, lettera A) i dividendi derivanti da trading, nonostante sia agevole una loro determinazione analitica, pare viziata da irragionevolezza: la norma sembra contenere una misura non congrua rispetto alle finalità perseguite. L’articolo 6 appare così violare quei canoni di proporzionalità e ragionevolezza che la Corte costituzionale, nella propria giurisprudenza, assume quali dirette conseguenze dell’articolo 3: da queste riflessioni nasce l’eccezione di legittimità costituzionale sollevata dalla società che, ove ritenuta fondata, porterebbe all’accoglimento del ricorso presentato.

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